I Custodi della montagna, impegnati quotidianamente nella promozione del turismo responsabile sulle Alpi piemontesi, cercano di fare rete e collaborare con tutti gli attori locali alla ricerca di strade sostenibili per il loro territorio di riferimento. Nel fare questo, gioco forza, vengono in contatto spesso con chi ha l’onere e l’onore di amministrare il territorio, di fare scelte, dare indirizzi e programmare il futuro delle terre alte. Perché la promozione e valorizzazione di questa forma di turismo dovrebbe essere supportata da comuni, unioni montane, città metropolitane, Gal, regioni. Ma il condizionale, in questo caso, è d’obbligo, perché come ci raccontano i Custodi, non sempre la “cosa pubblica” riesce a supportare il loro lavoro. E mentre la montagna piemontese chiede nuovi investimenti, cambiamenti di visione, maggiore considerazione della ricettività turistica “artigianale”, con gare d’appalto chiare, leggi coerenti e un dialogo costante tra le parti, la “buona politica” per le terre alte molto spesso è ancora latitante.

La politica prende la rincorsa…
Massimo Manavella, presidente dell’Associazione gestori rifugi e posti tappa del Piemonte, nonché gestore del rifugio Selleries in alta Val Chisone, ricorda come gli investimenti sul turismo nel recente passato puntassero solo ed esclusivamente sulle stazioni sciistiche. «Il rifugio era visto come una cosa marginale e priva di interesse. Negli ultimi anni però da una parte la sensibilità degli enti pubblici è aumentata, dall’altra le stesse stazioni di sci si sono rese conto che se riescono ad offrire anche altro accanto alle piste arrivano più clienti». Massimo racconta ad esempio di interessanti aperture da parte del Sindaco di Sestriere Valter Marin come della ex Provincia di Torino verso il turismo responsabile. «Oggi aumentano gli investimenti pubblici sui trekking dell’Orsiera, della Bessanese, e diminuiscono quelli indirizzati alle piccole stazioni sciistiche», destinate al fallimento. Realtà che risultano ormai superate, «che hanno resistito fino a che c’erano soldi pubblici e poi hanno chiuso». Lasciando gli impianti abbandonati sul territorio, a memoria di un tempo ormai passato, e senza la possibilità da parte del territorio interessato di poterli smantellati per mancanza di risorse. «Io vent’anni fa lavoravo a Pian Munè (piccola stazione sciistica della Valle Po che oggi vede i suoi impianti fermi, nda) quindi l’ambiente lo conosco bene; ci abbiamo lavorato in tanti professionisti della montagna. Ora siamo a un punto in cui ci sono pochi soldi e bisogna pensare bene dove investirli e la sensibilità dei funzionari dovrebbe far sì che vengano destinati anche a offerte turistiche differenti a quelle dello sci da discesa».
Ma se gli investimenti sulle piste da sci sono facilmente indirizzabili verso interventi di ristrutturazione e ampliamento degli impianti di risalita o di costruzione di sistemi di innevamento artificiale sempre più efficienti, per quanto riguarda il turismo montano “dolce” il discorso è più difficile, o meglio, meno immediato. Sylvie Bertin, la compagna di Massimo Manavella, qualche idea da suggerire ce l’ha. Ad esempio sul problema della professionalità di chi gestisce i rifugi della rete alpina: «Per tutelarla dovrebbero creare un albo di riconoscimento della professione. E poi dovrebbero intervenire sulle gare d’appalto per la gestione dei rifugi, portando il periodo di affidamento da uno a nove anni, rinnovabile». Perché attualmente, denunciano i “rifugisti uniti”, molti contratti sono di un anno, alcuni di tre e quelli dei più fortunati di sei. Mentre per legge dovrebbero essere di nove, periodo adatto per poter progettare un’offerta duratura, di qualità e che permetta di investire in un tipo di turismo responsabile. «Queste cose invece sono disattese – sostiene Massimo -. Chi amministra il territorio è tanto attento alle regole ma poi non ci permette di fare dei programmi a lunga scadenza. E la mancanza di programmazione vuol dire cattiva gestione». Secondo Sylvie non si tratta di cattiva volontà ma di una mancanza di cultura del turismo responsabile. «Nelle nostre valli cominciamo ora a interrogarci su questi temi, mentre in altre parti d’Italia, come ad esempio in Trentino, sono molto più avanti. Perché da noi fino al secolo scorso il turismo in montagna, a parte quello dello sci da discesa, era considerato un’attività marginale rispetto all’industria e alla fabbrica. E oggi ci troviamo carenti nella cultura del turismo dal punto di vista delle amministrazioni comunali, sovracomunali e regionali. Nonostante le vecchie comunità montane abbiano spesso lavorato molto bene».
Dello stesso parere è la guida alpina Roby Boulard, gestore del rifugio Willy Jervis in alta Val Pellice, che spiega: «Stiamo soffrendo della chiusura delle comunità montane, perché in una valle come la nostra il lavoro di promozione e di organizzazione di quello che offriamo fatto da questo ente era importantissimo. Oggi se ne sente la mancanza e la comunità montana andrebbe rimpiazzata in qualche modo. A fronte di un turismo che sta cambiando, sempre più esigente e che ha bisogno di essere organizzato per bene, non possiamo pensare di andare aventi con il “fai da te”. Un buon gestore di rifugio, una buona guida alpina o un buon operatore turistico non riesce per fare bene il proprio mestiere se si deve occupare anche del lato promozionale. Non ce la fa. La nostra valle ha prodotto e sta producendo dei giovani molto preparati che potrebbero occuparsi di questo aspetto per la valorizzazione del turismo dolce. Vanno sostenuti dando loro la possibilità di poterci provare. Bisogna farlo, per tutti noi».

… e qualche volta raggiunge l’obiettivo
E sì, perché quando l’amministrazione pubblica decide di fare la sua parte per promuovere questo tipo di turismo alpino, allora i risultati si vedono. Ce lo conferma Marco Gattinoni, del B&B Il Bosco delle Terrecotte, nelle Valli del Monviso. «Abbiamo iniziato la nostra attività nel 2005, e nel 2006 con le Olimpiadi abbiamo avuto molta visibilità. Perché anche se Torino 2006 è stata un’operazione criticabile per l’eredità delle strutture che ha lasciato sui territori, a tutti noi ha portato visibilità e interessanti ricadute. Dal 2005 al 2009 sono stati anni in cui si lavorava molto bene, con presenze da tutto il mondo. Poi dopo il 2009 si è verificata una vera e propria scomparsa di turisti e viaggiatori». In concomitanza, forse, con la fine della promozione del territorio montano da parte delle istituzioni pubbliche.
Anche Loredana Fancoli, che gestisce la Foresteria di Massello in Val Germanasca, conserva un ricordo positivo del periodo olimpico torinese. Quando grazie ai finanziamenti pubblici elargiti in occasione dei Giochi, e alla nascita dell’azienda venatoria sul suo territorio comunale, l’amministrazione è riuscita a realizzare la struttura. «Oggi il Comune percepisce un affitto dai terreni comunali dati in concessione ai privati dell’azienda venatoria, con una ricaduta concreta e fruttuosa sul territorio. L’operazione ha offerto la possibilità da parte dell’amministrazione pubblica di poter investire su turismo e lavoro su un territorio destinato all’abbandono».
Fortunatamente l’esempio del Comune di Massello non è l’unico sull’arco alpino piemontese, e Silvia Rovere del Galaberna di Ostana, Valle Po, ci porta un’altra testimonianza positiva di un piccolo comune molto attivo nella promozione del turismo dolce: «fin da subito l’amministrazione comunale è stata molto accogliente con noi che arrivavamo da fuori. Aveva interesse nel promuovere il nostro lavoro ed è sempre stata e continua ad essere aperta alle proposte innovative. Qui è una discussione continua, in un paesino di 40 residenti ma con un forte senso civico e un’amministrazione che riesce a guardare lontano, impegnandosi non solo nel trovare finanziamenti fini a se stessi per rattoppare le strade, che sono comunque fondamentali, ma spendendosi anche in progettazioni a lunga scadenza».
Anche per Marco Andreis e la sua famiglia il sostegno pubblico è stato il primo motore immobile che ha permesso lo sviluppo della sua attività turistica sostenibile. «L’idea di aprire la Locanda occitana Lou Pitavin (nel Vallone di Marmora in Val Maira, nda) è nata leggendo un bando del Gal che gestiva dei contributi Ue per piccole attività in zone montane. A me la scuola non piaceva tanto, e mia moglie non era convinta del suo lavoro. E’ stata la molla che ci ha fatto partire», e oggi la locanda Lou Pitavin è una delle più apprezzate realtà ricettive dell’intera Valle Maira.
Giorgio Alifredi, dell’azienda agricola e agriturismo Lo Puy, racconta di come anche per lui l’offerta ricettiva creata accanto all’azienda sia nata proprio grazie al sostegno dell’amministrazione pubblica, attenta al loro territorio: «Avevamo dei ruderi di competenza delle terre acquistate per l’azienda agricola e ci spiaceva lasciarli crollare in terra. Abbiamo usufruito di finanziamenti per l’agricoltura, e nella Borgata centrale abbiamo costruito l’agriturismo con ristorazione. Da qualche anno poi proponiamo anche l’accoglienza notturna in camere nella borgata».

Ma il ritardo va colmato
Quindi non è che aiuti e sostegni non ci siano. Ma spesso dipendono dagli “umori” di chi governa il territorio, e la strada per accedervi non è propriamente in discesa per tutti. Poi, certo, la speranza è l’ultima a morire, soprattutto se uno crede in quello che fa. Ma sovente a causa di ritardi, proroghe, e difficili pratiche burocratiche da svolgere, succede che i professionisti impegnati nell’offerta del turismo dolce sulle montagne piemontesi si facciano prendere dallo sconforto. Capita a Luca Ferrero Regis e alla sua compagna Paola Sandroni, del B&B Casa Payer della Val Pellice, che condividono con noi le loro perplessità: «Sono anni che ci domandiamo perché non siamo andati in Trentino a sviluppare un’attività come la nostra. In quel territorio un progetto come questo, fatto di bioedilizia, recupero del bosco, manutenzione del territorio sarebbe stato sicuramente supportato molto di più».
E mentre si cerca di colmare il gap amministrativo del Piemonte nei confronti delle regioni più “avanti” nel governo dei territori montani, la nostra offerta di turismo alpino responsabile rischia di perdere importanti pezzi di futuro.
Maurizio Dematteis

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