Viviana Ferrario e Mauro Marzio (a cura di), “La montagna che produce. Productive mountains”, Mimesis 2020, 446 pp., 28 euro
Oggi la montagna in Italia vive un momento di particolare attenzione mediatica rivolta a un territorio di cui in realtà l’opinione pubblica sa poco o nulla. In mezzo alle immagini stereotipate che la dipingono ora come teatro di spopolamento e abbandono, ora come eldorado per neo abitanti con progetti innovativi, si infila Rete Montagna che propone l’originale chiave di lettura de “La montagna che produce”.
Sembra quasi un ossimoro, parlare di produzione nell’abbandono o tuttalpiù nella sperimentazione che poco è capace di influire sul Pil nazionale, eppure così non è, perché chi conosce un minimo le terre alte e la loro storia sa che il “secolo breve”, capace di relegarle all’angolo, non è che un periodo, e nemmeno troppo lungo, se si ragiona in tempi storici.
“La montagna che produce” è un’interessante raccolta degli interventi proposti in occasione del Convegno Rete Montagna del 2018 e offre una panoramica spaziando dalla valorizzazione della risorsa foresta-legno all’agricoltura e allevamento in alpeggio, dalle produzioni alimentari di qualità a un turismo esperienziale e capace di futuro.
Un tentativo di ricostruzione di un’immagine reale delle montagne proposta nel momento in cui queste finiscono sotto i riflettori. Un volume che racconta la primavera delle aree interne italiane dettata da una serie di variabili che vanno dalla crisi del modello economico urbano, ormai incapace di irrorare i territori intorno ad anelli concentrici su fino alle vette, passando per il cambiamento climatico che ridisegna il territorio, per finire con una crisi sanitaria legata al Covid 19 capace di far riscoprire l’altrove dietro la porta di casa.
Maurizio Dematteis