Il rapporto dell’uomo con la montagna è fatto di timore, rispetto, fascino, ma anche di sfida e determinazione nel raggiungere un obiettivo, sia esso una vetta o la possibilità di trarre sostentamento da un terreno ripido e apparentemente ostile.
Per questo da alcuni decenni in Europa e più recentemente anche in Italia la montagna viene usata come strumento educativo o di supporto psicologico per soggetti con problemi psichiatrici, lavorando sulle dinamiche di gruppo nell’ambiente culturale, naturale e artificiale della montagna.
Noemi Michilini, giovane educatrice, responsabile del Centro educativo diurno “Pali e quaderni” con sede a Varese della cooperativa sociale “La casa davanti al sole”, ha raccolto gli insegnamenti e le esperienze della montagna-terapia adattandole ai ragazzi “difficili” dei quali si occupa quotidianamente.
Ogni anno Noemi porta i suoi ragazzi a Macugnaga, villaggio ai piedi del Monte Rosa che lei stessa frequenta da quando era bambina, e con l’aiuto di professionisti della montagna li coinvolge in svariate attività, dall’autogestione di una casa, fino ad attività sportive come escursionismo, orienteering o arrampicata.
Portare i ragazzi in montagna permette agli educatori di lavorare contemporaneamente su tre assi: la relazione con se stessi, la relazione con gli altri e la relazione con la realtà.
«In montagna i ragazzi sperimentano e fanno i conti con il senso delle regole, il legame diretto tra azione e conseguenza, si scontrano con i propri limiti e scoprono le proprie capacità – spiega Noemi –. Vivono delle emozioni molto forti ampliate dall’ambiente e dal fatto che si trovano in un ambiente completamente nuovo per loro, in cui possono mettersi in gioco in un modo diverso dal solito. Lo “sfigato” che viene scoperto essere un gran camminatore, al ritorno in città è visto con altri occhi, come il “bulletto” di turno trovandosi appeso a una corda può ridimensionare la propria presunta forza».
Giacomo Pettenati