Formont ha nove centri operativi diffusi sul territorio più una sede centrale a Venaria Reale, in Città Metropolitana di Torino, che ogni anno realizzano progetti formativi, percorsi orientati all’implementazione di nuove attività quali fonti integrative del reddito per superare il fenomeno della stagionalità, favoriscono l’occupazione giovanile per contrastare lo spopolamento e realizzano momenti di stage in azienda.
Ma il Formont è anche uno per cogliere quelle che sono le richieste formative che arrivano dal territorio, grazie alla sua distribuzione capillare nell’intera Regione. Ne abbiamo parlato con il suo presidente, Roberto Vaglio.
Come procede l’attività di formazione sui territori montani?
Andiamo avanti con difficoltà, perché la formazione di montagna non ha l’attenzione che si merita. È chiaro che se io faccio un corso di formazione in centro a Torino avrò dei numeri alti, mentre se lo faccio in Val di Susa fatico ad arrivare ai 20 allievi. Eppure quel corso da 20 allievi è assolutamente indispensabile per la montagna, altrimenti non avrà futuro.
Stiamo lavorando ad esempio ad un progetto con il liceo Des Ambrois di Oulx, un istituto d’eccellenza che accoglie oltre 800 allievi: sulla base delle indicazioni degli allievi stiamo monitorando le necessità occupazionali delle zone di montagna. In modo da poter capire come si può rispondere.
Quali sono i corsi di formazione più frequentati oggi?
Sono ancora quelli legati al turismo dello sci: maestri di sci, sempre pieni, operatori di primo soccorso sulle piste, agenti di piattaforma di skilift e seggiovie. E in generale sui mestieri tradizionale legati all’indotto delle piste, quelli danno sempre una buona risposta. Mentre per il discorso dell’accoglienza turistica facciamo più fatica, perché molto spesso chi già esercita in ristoranti e alberghi pensa di non averne bisogno.
Stanno però aumentando anche le richieste di corsi per professioni turistiche innovative: accompagnatori naturalistici, accompagnatori di mezza montagna, istruttori equestri e di mtb. Molti maestri di sci oggi richiedono anche altre abilitazioni, per dedicarsi alla pluriattività. Ci sono strutture, come il Club Med di Pragelato che puntano anche sull’estivo.
Per quanto riguarda la produzione di qualità, a km 0, sulle nostre montagne mancano le aziende agricole. In alta Valle di Susa ad esempio, le aziende certificate sono ancora molto poche. Mancano i quantitativi. Quelli che producevano latte si sono spostati sulla linea vacca-vitello, attualmente più remunerativa, e manca un indotto adeguato della trasformazione. Stiamo aprendo un centro dimostrativo di caseificazione a Cesana, sempre in Valle di Susa, ma stiamo facendo molta fatica: ci tocca andare a prendere il latte in bassa valle, o addirittura in pianura.
Infine abbiamo investito molto sui corsi di manutenzione ambientale, per formare i pochi operai forestali rimasti. Loro vengono ai corsi di aggiornamento. Parecchi corsi sono dedicati alla filiera forestale, ai motoseghisti di tutti i livelli, e ora ci stiamo lanciando su utilizzo delle macchine forestali trattori per esbosco ecc. Molta richiesta. Poca disponibilità da parte della Regione a finanziare.
Quali le prospettive per Formont alla luce dei cambiamenti in atto sui territori montani?
Sicuramente in futuro dobbiamo puntare sulla qualificazione di professioni che si occupano di manutenzione ambientale. E lo stiamo già facendo. Oggi ad esempio devi andare a cercare i pochi escavatoristi che non sono impegnati, spesso un po’ improvvisati sui terreni inclinati.
In generale avremmo bisogno di promuovere una qualificazione specifica per chi lavora in montagna, in modo che chi fa il maestro di sci in inverno in estate e nelle altre stagioni possa andare a tracciare i sentieri, recuperare i muri a secco o fare altri lavori di manutenzione.
Cosa manca oggi in montagna?
Sul territorio in generale, e in specifico in quello montano, molte volte manca una professionalità specifica, ma per crearla non si può pretendere che sia la gente a doversela pagare. E il patrimonio culturale e naturale della montagna non può essere affidato esclusivamente al volontariato, ci vuole professionalità e riconoscimento. Devono nascere attività professionali tipiche della montagna, riconosciute anche a livello economico. Ma questo è difficile da far capire ai decisori, perché alla fine si rischia sempre di ragionare in termini elettorali, e allora in una valle alpina in cui c’è una popolazione di un condominio di Torino si tende a non pensare.
Maurizio Dematteis