Negli ultimi anni la montagna è tornata al centro di molti dibattiti e, in particolare, con la fase pandemica Covid-19 molte sono state le voci che hanno celebrato la montagna come luogo del ri-abitare, dove la vita acquista una dimensione più “umana”, dove ci sono grandi spazi aperti e una bassa densità abitativa che garantisce una fruizione degli spazi più sicura. Tutto questo in un quadro che, negli ultimi dieci anni in Italia e ancora prima a partire dall’inizio di questo secolo a livello europeo, già stava portando avanti un’idea diversa di montagna rispetto al passato. Un’idea che esce da quella dicotomia che ha chiuso la montagna per anni, da un lato, dentro le politiche del turismo di massa, soprattutto legate agli sport invernali, dall’altro lato le ha riconosciuto una sorta di inarrestabile declino che poteva essere arginato solo con forme di assistenzialismo.

Tra l’annosa questione del cambiamento climatico e la tragedia della pandemia, si è paradossalmente aperta una strada diversa per la montagna che lascia finalmente spazio per uscire da quella dicotomia di cui si diceva e costruire contro-narrazioni della montagna stessa. In questa direzione, va da sé  che la creazione di percorsi di sviluppo diversi richiedono formazione adeguata attraverso la definizione di profili professionali capaci di attivare ed essere parte di un nuovo sistema montagna, dal punto di vista amministrativo e gestionale, così come in relazione ai nuovi mestieri che possono essere oggi svolti in montagna nel solco della green e soft economy.
E’ dunque auspicabile in questo senso un percorso di ri-ammodernamento della formazione, operazione assolutamente non semplice e banale in un Paese in cui sappiamo quanto questo sia un tasto dolente e forse nemmeno prioritario…
Va detto però che la spinta al cambiamento ha sollecitato molti soggetti a fornire risposte. Centri di formazione locale e regionale, università e accademie si stanno attivando. Manca un quadro di sintesi che tracci obiettivi comuni ma va sicuramente apprezzato il lavoro che tutti questi soggetti stanno mettendo in campo attraverso la didattica quotidiana, i corsi di formazione, i corsi di laurea, i master, i corsi di specializzazione. Soggetti, i quali, in modi diversi, offrono una formazione al passo con le necessità, da quelle di alta formazione sino a quelle mirate alla formazione di figure in grado di attivare una imprenditorialità innovativa nelle terre alte.
In questa direzione, va rilevato che questo lavoro di rinnovamento non si è fermato dentro i confini nazionali ma grazie ai tanti progetti europei messi in campo per i giovani, spesso è riuscito a connettersi ad un livello internazionale. Si pensi alle esperienze di alcuni plessi scolastici presenti nelle valli che sempre più gettano reti lunghe per attivare scambi culturali per i ragazzi prossimi al mondo del lavoro, oppure alla strada percorsa in ambito accademico, dove in alcuni casi si è sostenuta la sperimentazione e il consolidamento di una formazione in loco, in altri casi invece la condivisione di percorsi di formazione tra paesi diversi.
Gli articoli di questo numero restituiscono questa complessità e mettono in luce le spinte che si stanno concretizzando in questa direzione. Senza dimenticare ancora, il ruolo che oggi svolgono le università sul territorio in termini di terza missione. Un supporto che si declina attraverso attività didattiche, workshop, laboratori…
Scorrendo le presentazioni dei convegni, leggendo alcuni articoli o navigando tra i tanti gruppi social che si occupano di territorio, è evidente come ci sia in questo momento un connubio fortissimo tra università e territori. Al di là di ogni resistenza al cambiamento, si stanno davvero muovendo conoscenze, capacità, esperienze nei territori montani, i quali si stanno mostrando ricettivi e protagonisti.
Su questa linea, anche il ruolo delle associazioni non è affatto secondario. Soprattutto per quanto riguarda la formazione professionale, spesso in campo ambientale, l’offerta si sta ri-definendo valorizzando quel connubio fondamentale tra natura e cultura, da cui si riparte per pensare ad una diversa produzione nella montagna, non di massa ma specifica, non a-contestualizzata ma locale.
In questo work in progress, abbiamo la possibilità di costruire uno scenario formativo per le giovani generazioni (e non solo) che deve segnare il passaggio trasformativo culturale da cui possiamo far discendere quell’idea diversa di montagna che davvero vorremmo portare avanti.
Federica Corrado