A partire dall’affermazione quasi globale di un quadro politico ed economico di matrice neoliberista, il cibo è considerato prevalentemente come un bene soggetto alle regole del mercato, il cui accesso è in gran parte legato alla capacità economica di ciascun individuo di acquistarlo o di possedere strumenti e spazi per produrlo. Al tempo stesso, però, la filiera alimentare è per molti aspetti organizzata in base a regole e politiche di natura pubblica, si pensi al ruolo delle politiche europee nell’indirizzare l’agricoltura. Inoltre sono sempre più numerose azioni, progetti e politiche di gestione collettiva della filiera del cibo o di alcune sue componenti spesso finalizzate a cambiare radicalmente il sistema alimentare, immaginando e praticando nuove relazioni tra produttori e consumatori.

È stato da poco pubblicato dalla casa editrice scientifica Routledge un corposo volume (a cura di José Luis Vivero-Pol, Tomaso Ferrando, Olivier De Schutter e Ugo Mattei; Routledge Handbook of Food as Commons, 2019), che raccoglie più di venti contributi che propongono una prospettiva recente nel dibattito sul cibo, superando la dicotomia tra pubblico e privato e riflettendo sulla possibilità di considerare il cibo – o la sua filiera – come un bene comune.
Il concetto di bene comune può essere definito a partire da una prospettiva economica, che lo definisce come bene non escludibile e rivale, cioè che non può essere utilizzato contemporaneamente e in maniera illimitata da un numero infinito di persone (rivale), ma al quale è molto complesso impedire l’accesso (non escludibile), se non con un sistema di regole condivise, spesso a livello comunitario.
Oggi ci sembra scontato che l’approvvigionamento di cibo passi per una transazione basata sullo scambio di denaro, secondo un approccio lontanissimo da quello dei beni comuni, sul cui senso e sulla cui equità si potrebbero aprire grandi discussioni.
Tuttavia, già all’interno delle prime definizioni di beni comuni, che risalgono al diritto romano e poi al Medioevo, si può osservare la presenza di molti elementi riconducibili alla produzione di cibo. I diritti al pascolo del bestiame su terre non di proprietà privata (communalia), i diritti ad attingere acqua alle sorgenti, o a praticare la spigolatura (la raccolta delle spighe rimaste a terra dopo la mietitura) sono citati in moltissimi documenti di origine medievale, come la Grande Charte degli Escartons, del 1343, che conteneva un catasto dettagliato dei boschi e dei pascoli, e le norme atte alla tutela ecologica del territorio, allo scopo di impedirne la rovina e di permetterne un uso collettivo sostenibile, a vantaggio di tutta la comunità.
Nei territori di montagna in particolare, il considerare come bene comune luoghi, strumenti e risorse naturali necessarie per la produzione del cibo ha sempre rappresentato un elemento centrale degli equilibri tra le popolazioni montanare e il loro fragile rapporto con le scarse risorse presenti nel territorio in cui sono insediate da millenni. Si pensi all’importanza dello sfruttamento comunitario dei pascoli o delle risorse forestali, al ruolo dei forni comunitari nelle borgate, alle latterie turnarie, alla gestione delle acque o delle risorse ittiche e venatorie. Proprio nei territori di montagna sono ancora presenti sistemi politico-giuridici di gestione collettiva/comunitaria delle risorse dalla storia antichissima (le Regole del Cadore, le Magnifiche Comunità del Trentino), giunte quasi immutate fino ad oggi o evolute in nuove forme, come nel caso della legislazione sugli usi civici.
La Carta del Patrimonio Alimentare Alpino, che costituisce al tempo stesso un riferimento e un esito dei lavori di Alpfoodway (che potete sotenere a questo indirizzo https://goo.gl/k1yARB), mette i beni comuni al centro del valore riconosciuto alla foodway alpina, grazie all’importanza della “capacità delle comunità alpine di scambiare cibo e servizi, di gestire beni comuni, di aiutarsi vicendevolmente”.
Il lavoro di ricerca e di animazione territoriale di Alpfoodway può rappresentare un’importante occasione per proporre una prospettiva politica nuova sull’alimentazione di montagna come bene comune, non prendendo in considerazione solamente alcuni degli elementi e delle risorse necessarie per produrre il cibo, bensì l’intera foodway alpina – cioè tutte le pratiche di produzione, trasformazione e conservazione del cibo, nonché i rituali di consumo, i saperi, le conoscenze e i paesaggi che lo rappresentano – fondamentale per lo sviluppo sostenibile dei territori alpini e delle comunità che li abitano.
Giacomo Pettenati

www.alpfoodway.eu