Mentre l’estensione dei boschi in Italia aumenta di pari passo con l’abbandono delle terre alte, nelle Alpi occidentali la filiera locale del legno è ancora un obiettivo irrealizzato, sia per quanto riguarda il legname da opera che per l’uso energetico. Altrove in Italia, soprattutto in Veneto, Trentino e Alto Adige, la filiera del legno è realtà consolidata, plasmata sulla consuetudine austroungarica della gestione del bosco, “coltivato” da secoli a fustaia per garantire un “prodotto” di grandi dimensioni e alta qualità.
Anche in un distretto rilevante come quello della Val Varaita la filiera non è riuscita a decollare. Molti i tentativi falliti dai primi anni 2000, spiega Corrado Bastonero, imprenditore del mobile a Brossasco. Cita un progetto Gal (gruppo d’azione locale) cofinanziato dall’Unione Europea, abbandonato per le difficoltà di conciliare i diversi interessi e per la scarsa attitudine a fare rete. «Alcune essenze sono locali, ma c’è poca disponibilità: il mercato del mobile su misura è diventato così “sartoriale” che si compra il legname solo quando c’è l’ordine», continua Bastonero, che come i suoi colleghi si rifornisce dalle segherie locali. Dove il rovere arriva dalla Francia o dai paesi slavi, mentre l’abete proviene soprattutto dal nord Europa. Il faggio è locale, anche il castagno a volte, ma rappresenta un’eccezione, come il noce. «La mia cucina è costruita con il legno di un noce che aveva tagliato mio padre: oggi non avrebbe più senso», dice Antonella Martina, figlia d’arte e falegname da 30 anni. La regola della cooperativa Giocolegno di cui è socia è evitare l’uso di essenze sudamericane o asiatiche: «La filiera locale sarebbe un’ottima soluzione ma ci vorrebbero incentivi. E’ sul costo del materiale che noi artigiani possiamo ritagliare un minimo di profitto e rimanere competitivi». Un altro ostacolo è la conformazione del territorio: «I nostri boschi sono spesso molto ripidi, e in più il legname nostrano proviene da alberi “selvatici” cresciuti liberamente: i tronchi sono più piccoli e il legno è più nervoso. Dagli alberi “coltivati” si ottengono tavole più stabili, più facili da lavorare e meno costose». Mancano strutture di servizio, come le strade per accedere al bosco, commenta un altro imprenditore, Giovanni Munari. «Ci sono stati studi molto qualificati su questo tema, per esempio quello realizzato dal Politecnico di Torino, ma i risultati non si vedono. Oltre confine, in Queyras, estraggono il larice e fanno riforestazione, e il sistema funziona».
La filiera del legno in Piemonte non cresce anche per motivi culturali, spiega Marco Corgnati, funzionario del settore Foreste della Regione: «I nostri boschi sono tradizionalmente utilizzati in modo agricolo e non con tecniche di selvicoltura: per estrarre legna da ardere, per esempio, o per la raccolta delle castagne. Sono una storica eccezione i boschi di larice perché si prestano anche al pascolamento: il larice è un’essenza usata da sempre per costruire le baite, mentre qui scarseggia l’abete, che altrove, come nel Nord Est, è la base per la produzione di legno lamellare, oggi molto apprezzato». Quel che manca in Piemonte è una visione imprenditoriale, fatte le debite, rare, eccezioni, continua Corgnati. «La Regione crede talmente nella filiera locale che nel capitolo foreste del Piano di Sviluppo Rurale c’è una misura che si chiama “cooperazione forestale” e punta a incentivare la capacità di lavorare insieme, di fare sistema».
Con la nuova legge forestale del Piemonte, anche il bosco cambierà: «L’obiettivo è far evolvere il boschi cedui verso boschi a governo misto e poi verso la fustaia. I frutti si vedranno tra decenni: ci saranno non solo più biodiversità ma più alberi ad alto fusto idonei a una trasformazione industriale».
C’è molto da fare anche nel settore legno-energia, dove ci sono ampie sacche di irregolarità: i prelievi di legna da ardere sopra i 150 quintali devono essere in Regione, mentre al di sotto di questa quantità è definito autoconsumo e non è monitorato. In realtà succede di tutto, con privati e soggetti economici che effettuano tagli sopra i 150 quintali fuori dalle regole. Per contrastare gli illeciti la Regione punta sulla diffusione di buone pratiche e sulla qualificazione delle imprese. «Per accedere ai fondi che stanziamo, per esempio per acquistare macchinari, è necessario essere iscritti all’albo delle imprese forestali».
Il Piemonte è sotto procedura di infrazione dell’Unione Europea per quanto riguarda le emissioni. Per consentire in montagna l’uso di biomasse locali, punto di partenza anche per creare piccole comunità energetiche, è stata avanzata una richiesta di deroga da parte della Regione. La risposta è arrivata lo scorso agosto. La Commissione Europea ha chiesto approfondimenti: «Crediamo nella provenienza locale delle risorse, non strettamente piemontesi, possono essere anche francesi o svizzere. Si tratta di quantificare la risorsa necessaria e soprattutto di dimostrare, dati alla mano, che il costo ambientale, cioè le emissioni causate dal legno di importazione trasportato per migliaia di chilometri, incide sulla qualità dell’aria più dell’impiego di legname locale. Non è facile, ma la strada è questa». La Regione sta compilando un dossier, partendo dalla quantificazione del fabbisogno delle aree montane. Il legno è uno dei pochi prodotti che a livello globale gode di un vero mercato libero, continua Corgnati: «E’ così: il legno non è soggetto ad accordi commerciali come quelli che incidono così pesantemente sui prodotti agricoli o alimentari».
Un contributo alla trasparenza viene dall’Environment Park di Torino, che ha importato un modello tedesco per calcolare l’impronta di carbonio del legname. La Regione Piemonte intende adottarlo e integrarlo con le procedure amministrative. Una ditta che opera correttamente potrà usare la stessa documentazione tecnica per certificare l’impronta di carbonio del legname che utilizza: un elemento qualificante da aggiungere alle certificazioni di gestione forestale sostenibile promosse da enti indipendenti. Come Fsc, il marchio internazionale che certifica la corretta gestione forestale e la tracciabilità dei prodotti che ne derivano.
Claudia Apostolo, Legambiente Alpi