Il 7 novembre 2011, a Torino, Dislivelli organizzò un articolato dibattito sui primi vent’anni della Convenzione delle Alpi. Forse le nebbie della crisi economica, etica e culturale non avevano ancora indebolito la nostra passione di guardare in alto, e la speranza di cambiare il futuro in tempi umani, sta di fatto che affrontammo problemi spinosi come i trasporti (con un’ottima relazione di Fabio Pedrina – parte prima – parte seconda) e del turismo (Fabrizio Bartaletti – parte prima – parte seconda), oltre alle numerose questioni aperte sul futuro delle popolazioni alpine, sull’agricoltura e sul clima.
Marco Onida (parte prima – parte seconda), che parlò a nome del Segretariato generale della Convenzione, non fu particolarmente tenero rispetto ai punti oscuri del trattato e in particolare rispetto alle ricadute sulla politica italiana, con particolare riferimento al Protocollo dei Trasporti. Su tutto il dibattito aleggiò la questione del consenso sul territorio alpino italiano, o almeno della conoscenza di un trattato tanto illuminato quanto disatteso come la Convenzione alpina. «Il futuro – scrisse Onida nel suo intervento preparatorio sul numero di ottobre 2011 della nostra rivista dedicato all’argomento – non può che essere nel rafforzamento ulteriore della presenza della Convenzione sul territorio. Chi se ne è accorto, ad esempio i comuni austriaci, ne gode già i frutti (anche in termini economici). Il cammino da percorrere è ancora lungo e tortuoso. Ma se le Terre Alte vogliono tornare a contare, non ci sono alternative. Buttarsi, come vorrebbero alcune regioni parzialmente alpine, nella costruzione di non meglio definite strategie macroregionali per le Alpi richiede attenzione: se si tratta di rafforzare la Convenzione delle Alpi ha un senso, se si tratta di buttarla a mare, le Terre Alte ne pagherebbero un caro prezzo…».
Enrico Camanni
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