Andrea Pincin, “La città rurale. Paesaggi in un continuo divenire”, Asterios editore, 2020, 78 pp., 12 euro

La “cultura dell’incolto” dal dopoguerra ad oggi ha continuato a prosperare nelle aree interne del nostro paese, soprattutto in montagna, dove l’abbandono e la non curanza presenta oggi il conto: dissesto idrogeologico, inondazioni, incendi irrefrenabili e continua perdita di biodiversità. Andrea Pincin, dottore forestale, che ha seguito il Mater in World natural heritage management di Trento, e oggi lavora presso la Regione del Friuli Venezia Giulia, ripercorre attraverso documenti e citazioni la strada che il nostro paese ha tristemente imboccato verso la perdita della “capillare rete di monitoraggio del territorio”, come la definisce. Parte da un dato: la diminuzione del 32% delle aziende agricole nazionali tra il 2000 e il 2010 (Istat) e il parallelo ingrandimento della superficie agraria utile (Sau) di quelle che rimangono. Per sottolineare come in futuro vi saranno sempre meno addetti che controlleranno un territorio sempre più vasto. E allora che fare? Pincin suggerisce di promuovere e incentivare decine, centinaia, migliaia di nuove attività agro-silvo-pastorali, unico modo per aumentare le “sentinelle” attive sul territorio.