Secondo i dati del progetto Irta (Inventario della ricerca sulle terre alte piemontesi), sono più di cento i soggetti che, a vario titolo, svolgono attività di ricerca, studio e documentazione sulla montagna piemontese. Realtà molto diversificate tra loro, che possono avere la montagna al centro dei loro interessi o dedicarvi un piccolo spazio all’interno delle loro attività. Si tratta di un grande patrimonio da preservare in quanto smentisce lo stereotipo secondo il quale la montagna debba rappresentare necessariamente un oggetto di studio marginale nel contesto regionale. Al contrario, le terre alte sono al centro di molteplici interessi, che spaziano attraverso diversi sguardi disciplinari e che si esprimono sotto diverse forme e tipologie di ricerca: da quella scientifica dei dipartimenti universitari alla ricerca “impegnata” delle associazioni ambientaliste, passando per quella a supporto delle politiche sino alle attività di documentazione messe in campo dalle associazioni di valle e degli ecomusei.
Ma dove viene fatta questa ricerca? Dove sono localizzati i soggetti che studiano le terre alte? Uno sguardo più approfondito consente di riconoscere una linea di separazione tra la ricerca di tipo più marcatamente scientifico (per intendersi, quella svolta da dipartimenti universitari e centri di ricerca, anche in stretto collegamento con enti pubblici locali) e le attività di documentazione e studio, condotte da un numero elevato e diversificato di associazioni (regionali e locali), musei, ecomusei, piccole case editrici, eccetera.
La prima tipologia ha una sede e un’origine spiccatamente urbana. Bisogna infatti constatare l’assenza pressoché totale di enti impegnati in attività di studio a tempo pieno localizzati nelle terre alte. È fuor di dubbio che esistono anche attività di ricerca, di tipo scientifico, sviluppate in contesti alpini: laboratori, studi e approfondimenti condotti  dai dipartimenti e dai centri di ricerca torinesi, dagli enti locali, dai parchi, da associazioni di rango regionale (ad esempio le associazioni ambientaliste), e così via. Come esistono soggetti che, localizzati in area montana, svolgono anche attività di ricerca: e tra questi, la Società meteorologica italiana (localizzata a Bussoleno, in bassa Valle di Susa) costituisce un’eccezione importante, in quanto ha trasferito verso le valli le proprie attività di ricerca una volta svolte a Torino. Ciò non toglie che, nella maggior parte dei casi, si tratta di un tipo di ricerca che viene fatto soprattutto in città e che si rivolge alla montagna come a un “laboratorio”.
Una simile connotazione non costituisce di per sé un fattore limitante rispetto alla qualità o alla capacità di leggere e interpretare le problematiche alpine. Anzi, è proprio in questo contesto che stanno emergendo negli ultimi anni temi “di frontiera”, fortemente innovativi rispetto alla tradizionale riflessione sulle terre alte: qualità e identità delle produzioni locali, sostenibilità ambientale e cambiamenti climatici, energie rinnovabili, ripopolamento alpino e servizi alla popolazione, tutela della biodiversità, nuove forme di turismo, e così via.
A una realtà differente appartengono, invece, quei soggetti localizzati specificatamente nelle valli alpine, ma che svolgono per lo più attività di studio e documentazione sul territorio, come alcuni parchi, associazioni locali, ecomusei, e così via. Si tratta di soggetti che non sono in grado di presentarsi come veri e propri centri di ricerca sulla montagna (né, del resto, è questo il loro ruolo), e non appaiono in grado di differenziare significativamente le proprie attività di studio da quelle di ricerca. In gran parte, si tratta certamente di realtà attive, capaci spesso di colmare significativi vuoti conoscitivi, che pubblicano e mantengono una discreta attività editoriale. In altri termini, si tratta di una risorsa da preservare. Tuttavia, è da rilevare come accanto a tali soggetti sia difficile individuare altre tipologie di attori che si spingano al di là dell’approccio storico-monografico locale. Talvolta a rischio di ricadere negli stereotipi classici della montagna come luogo della tradizione o come territorio abbandonato e selvaggio, da salvaguardare per le sue spiccate dotazioni naturalistiche.
Una simile immagine (per quanto sintetica) pone la questione di come ricalibrare il rapporto tra ricerca e montagna, rafforzando il peso che le terre alte possono rivestire nel sistema-ricerca piemontese. L’esigenza sembra quella di avere attività e soggetti localizzati nelle Alpi e dedicati alla ricerca e al collegamento con la montagna come attività prioritaria. La possibilità di localizzare centri e attività di ricerca in montagna avrebbe infatti ricadute molteplici: da un lato, permetterebbe di occuparsi con maggiore specificità e approfondimento di temi alpini, dedicando maggiore attenzione alla realtà montana come oggetto privilegiato di interesse (e non solo come ambito di integrazione o di sperimentazione sul campo di attività di ricerca condotte altrove o come interesse compresso da altre problematiche che hanno la precedenza); dall’altro, consentirebbe di costituire una preziosa opportunità di sviluppo socio-economico per la montagna piemontese, che manca di strutture di eccellenza localizzate sul proprio territorio: l’indotto generato da centri di ricerca alpini o peri-alpini, la capacità di attrarre lavoratori qualificati, studenti, imprese potrebbero rappresentare uno stimolo al ripopolamento e alla diffusione di pratiche innovative in montagna. Infine, non sono da trascurare le possibili ricadute sul sistema montagna che una ricerca in loco potrebbe generare: se davvero si vuole cambiare l’immagine della montagna e transitare da uno sguardo nostalgico ad una visione della montagna come ambiente di frontiera in cui sperimentare nuove forme di sviluppo, dell’abitare, di relazione tra società e ambiente, la ricerca deve fare la sua parte. Non può rimanere al di fuori della montagna, ma deve penetrare al suo interno, essere più presente e contribuire a creare le condizioni e i presupposti perché le innovazioni possano concretamente verificarsi. La localizzazione di attività di ricerca in montagna avrebbe senso anche in questa direzione: coinvolgere e attivare maggiormente la società locale in attività e studi che si spingano oltre l’indagine storica, ingaggiando direttamente il tema della contemporaneità della montagna e le sfide che si pongono per il futuro.
Un simile impegno diretto alla localizzazione di attività di ricerca sulle terre alte pone certamente la questione del coordinamento della ricerca, della sua governance. Sarebbero forse da evitare, infatti, iniziative realizzate in passato che hanno avuto esito incerto: ad esempio, il semplice decentramento ai piedi della montagna di strutture e corsi universitari che hanno però fallito nell’obiettivo di tessere reti di relazione e sinergie positive con i territori alpini. Proprio la ricchezza di soggetti che già oggi lavorano sulla montagna, tuttavia, può suggerire una prima risposta a tale problema. Nel breve periodo, non è forse necessario inventare nuovi soggetti che lavorino sulla montagna, quanto impegnarsi per favorire una maggiore coesione tra quegli enti che sono già attivi nei rispettivi settori, ri-localizzandone alcune attività in aree di montagna. Muoversi verso un maggiore coordinamento può costituire un passo preliminare verso forme più strutturate (e diffuse sul territorio) di ricerca sulle terre alte.
In altri termini, accanto a una nuova immagine e a una nuova rappresentazione della montagna, si tratta di conferire una nuova identità alla ricerca, farle assumere maggiore consapevolezza di sé e delle opportunità che scambi e relazioni più dense potrebbero creare.
Matteo Puttilli