In Italia, le cosiddette “aree interne” corrispondono al 60% del territorio. Zone dimenticate che, complice la pandemia, sono diventate non solo il luogo ideale in cui rifugiarsi, passeggiare o fare smart-working ma soprattutto il simbolo della resilienza del nostro Paese. Gli ultimi mesi hanno cambiato completamente le carte in tavola, dando la spinta a intere comunità per ripensare al futuro di queste aree e iniziare a considerarle come luogo in cui poter vivere.

Tantissimi sono stati i sondaggi, i report e le statistiche raccolte. Tutti numeri che insieme confermano un unico concetto: i giovani (soprattutto la fascia tra i 18 ed i 39 anni) non abbandonano volontariamente le aree interne, ma vanno via perché costretti dalla mancanza di servizi di base e di un lavoro che li soddisfi. Insomma, il desiderio di restanza esiste ed è forte, ma nonostante questo la situazione dello spopolamento nelle regioni montane italiane è estremamente urgente, a causa dei tassi elevati di disoccupazione e di un esodo costante degli abitanti in cerca di opportunità migliori.

Ma come fare a ribaltare questa situazione? Come cambiare paradigma?

La risposta è semplice, anzi quasi ovvia. E’necessario creare e implementare politiche di sviluppo in grado di offrire opportunità e supporto concreto ai giovani che vivono o che vogliono vivere in queste zone.

E allora perché non lo facciamo? “Mancano le risorse”, si sente dire, una frase che rimbomba nelle orecchie di tutti e che forse ad oggi, ha anche un po’ stancato.

Il PNRR, una montagna di risorse per lo sci

Ed è proprio in questo turbine di disfattismo che si inserisce il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un piano legato indissolubilmente, soprattutto oggigiorno, agli investimenti, anzi alla montagna di investimenti e di risorse che vediamo in queste aree e soprattutto verso il sistema sciistico.

Si, perché non dobbiamo dimenticare che molti di questi territori hanno tradizionalmente investito in impianti sciistici per attirare turisti durante l’inverno, risultato di quella visione di progresso che ormai da anni lega sci e montagna. E anche se la situazione è oggi notevolmente cambiata, molti vedono ancora il sistema sciistico come l’unica fonte di reddito per queste zone. La conseguenza? Una pioggia di fondi che negli ultimi due anni sta letteralmente ricoprendo la montagna. Pensiamo solo ai 65 milioni di euro di risorse pubbliche destinate dal CIS e dal Fondo complementare PNRR a progetti con al centro stazioni sciistiche solo nella regione Marche.

La scelta di utilizzare questa pioggia di risorse per l’ampliamento delle piste, soprattutto a basse quote, porta investimenti solo su un piccolo numero di persone, lasciando da parte le esigenze della maggioranza della popolazione e non garantendo uno sviluppo sostenibile per le comunità.

Investire nello sci oggi: una politica anacronistica

Come anticipato però, oggi la situazione è cambiata, la neve scarseggia sempre di più, gli inverni sono sempre più caldi e la siccità un problema sempre più attuale. Con l’accorciarsi della stagione sciistica, gli investimenti su nuovi impianti sciistici sotto i 2000 metri diventano obsoleti e non rappresentano più una soluzione a lungo termine per lo sviluppo delle comunità locali.

Investire nello sci in questo momento non è solo oggettivamente sbagliato, ma vuol dire togliere risorse a progetti potenzialmente lungimiranti per il ripopolamento di queste aree. L’utilizzo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la costruzione di nuovi impianti sciistici è una scelta che non tiene conto del futuro delle comunità che vivono in montagna e soprattutto della volontà di restanza dei giovani, lasciando da parte gli investimenti che potrebbero essere veramente utili a lungo termine per incentivare il ripopolamento – pensiamo ai servizi educativi o sanitari e ai progetti innovativi per i più giovani.

Gli investimenti che vorremmo vedere

I giovani che vivono in montagna o che vogliono tornarvi hanno bisogno di opportunità concrete per il loro futuro, e questo passa inevitabilmente attraverso investimenti nei servizi e nello sviluppo di una visione a lungo termine.

Per questo motivo, le politiche di sviluppo delle aree montane dovrebbero puntare a valorizzare le risorse locali e le attività produttive tradizionali, come l’agricoltura, l’allevamento e l’artigianato. E’importante incentivare l’innovazione e l’imprenditorialità per creare nuove opportunità di lavoro e promuovere un turismo sostenibile che sfrutti le risorse ambientali e culturali delle zone montane durante tutto l’anno, non solo in inverno.

Inoltre, gli investimenti dovrebbero essere rivolti alla costruzione di infrastrutture e servizi sociali che possano supportare le comunità locali, come scuole, ospedali e trasporti pubblici. Questi servizi possono garantire un sostegno concreto ai giovani e alle famiglie che vivono in queste zone e ridurre l’emigrazione verso altre regioni. Infine, è essenziale adottare politiche di sviluppo sostenibile che tengano conto del valore ambientale e paesaggistico delle aree interne e montane. Questo significa garantire una gestione sostenibile delle risorse naturali e ridurre l’impatto ambientale delle attività economiche.

Per il futuro delle Aree Interne

Insomma, investire in nuovi impianti sciistici non rappresenta più la soluzione ideale per le regioni montane italiane. Al contrario, puntare su politiche di sviluppo sostenibile che valorizzino le risorse e le specificità di queste zone, incentivando l’innovazione e l’imprenditorialità e garantendo servizi e infrastrutture per la comunità locale, potrebbe essere la chiave vincente. Solo così si può garantire un futuro solido e sostenibile per i giovani che vivono in queste zone.

Abbiamo risorse? Sfruttiamole veramente per il futuro dei giovani e per il presidio dei nostri territori!

Silvia Spinelli. Appassionata di sviluppo territoriale e ripopolamento, si occupa di progettazione, comunicazione e organizzazione eventi per le Aree Montane e creazione di iniziative artistiche integrate. Fa parte della Rete RIFAI per la regione Marche. Collabora con l’Associazione InArte e con l’Associazione Università del Camminare.

(Articolo pubblicato sul sito www.reterifai.it e gentilmente concesso a Dislivelli.eu)