La presenza della pecora sambucana in Valle Stura ha origini molto antiche. Si tratta di una pecora che l’ambiente ha reso con l’andare degli anni agile e nello stesso tempo robusta, adatta a vivere là dove il clima è rigido per molti mesi l’anno e muta rapidamente. Ma capita che con lo spopolamento degli anni ’50 rimangano solo più un centinaio di pecore sambucane in tutta la valle. E questo particolare allevamento, con la storia e cultura ad esso collegate, rischia di andare perso per sempre. «Ci siamo adoperati per effettuare un recupero tecnico della pecora sambucana – spiega Stefano Martini, della Comunità montana Valle Stura – e allo stesso tempo un recupero del patrimonio culturale della valle a lei legato». Più di dieci anni or sono è partito un progetto di recupero a 360 gradi. «Si tratta di una pecora che offre prodotti eccezionali – continua Martini –: carne, latte e lana. Una risorsa cui la nostra valle non poteva rinunciare. Abbiamo cominciato a fare ricerche con le scuole, a rivolgerci a studiosi specializzati, coinvolgendo l’Università di Torino. Ma non solo. Anche quelle francesi, dati i nostri contatti continui con la Provenza. Alla fine abbiamo realizzato mostre, pubblicazioni e suscitato un grosso dibattito.
Nel 2000 poi abbiamo inaugurato un museo sulla pastorizia nella frazione di Ponte Bernardo, un centro di selezione della razza, un punto vendita dei prodotti derivati e addirittura un piccolo caseificio che dà lavoro a una famiglia locale. L’ultima inziativa in ordine di tempo è stata l’osteria “La pecora nera”, sempre nella frazione di Ponte Bernardo, dove chiunque può gustare i prodotti derivati dalla pecora sambucana: carne, latte e formaggi».
Oggi la razza sambucana è presente in valle con una consistenza numerica di circa 4500 capi, distribuiti in una sessantina di allevamenti. E gli sforzi della Comunità montana sono stati premiati dall’associazione Slowfood, che ha accolto la pecora sambucana nei suoi Presidi del gusto.
Maurizio Dematteis
Info: www.vallestura.net