Il Grand Tour 2023 di Rifai ha toccato delle realtà interessanti e importanti per il futuro del territorio montano piemontese delle Alpi Cozie. Sette realtà vive, sette realtà che hanno reagito, ognuna a modo loro, all’annoso processo di spopolamento e abbandono delle montagne con idee, fatica e sogni realizzati. Ma nonostante lo sforzo quotidiano e il progressivo miglioramento delle realtà locali in cui vivono, oggi permangono ancora dei divide sui loro territori. E allora ci siamo chiesti quali sono questi ostacoli? Come fare per superarli?
Ce lo spiegano direttamente alcuni dei rappresentanti del “miracolo a nordovest”. Queste le loro interessanti riflessioni:
Silvia Bongiovanni, della società Piani Verticali attiva nel coordinamento del Distretto Culturale Montagna Futura della Valle Stura non ha dubbi: «Oggi sui nostri territori manca di una visione condivisa. Il problema non sono tanto i soldi, certo quelli sono necessari, ma oggi le valli ne avrebbero a disposizione tanti. Il problema è che gli amministratori locali non sanno girarsi, sono lasciati soli, abbandonati. I residenti si lamentano giustamente che mancano dei servizi adeguati ma il pubblico, da solo, non riuscirà mai a realizzarli da solo. E deve smetterla di pensare che basta a se stesso, cercando di concentrare tutto nelle unioni di comuni o in altri enti pubblici. Non funzionano. Bisogna andare verso patti pubblico-privato che possano valorizzare le competenze di entambi. Oggi le valli alpine hanno tante risorse a disposizione, bisogna imparare ad usarle al meglio».
Nella valle a fianco Roberto Ribero, tra i fondatori della cooperativa EmotionAlp, spiega il suo punto di vista: «I principali problemi nella nostra valle sono il digital divide e la questione trasporto pubblico. Le carenze del trasporto vanno soprattutto a danno dei ragazzi che non hanno la patente e non riescono a raggiungere i laboratori pomeridiani delle scuole. O hanno i genitori che li portano su e giù oppure sono tagliati fuori. Perché se l’attività finisce alle 16 devono attendere il bus fino alle 19, e finisce che non ci vanno. Inoltre ci sono sempre più persone che vorrebbero venire a visitare la nostra valle dall’estero senza auto privata, anche dalle altre regioni d’Italia, perché alcune persone si stanno abituando a muovere con i mezzi pubblici, ma per loro noi oggi risultiamo irraggiungibili. Bisognerebbe studiare realtà simili alla nostra che hanno risolto il problema e capire come le hanno fatto. E penso che in questo caso il privato possa fare la sua parte, penso che debba pensare a nuove forme di attività, in dialogo col pubblico. Lo Sherpabus in Val Maira, la valle qui accanto, lo ha fatto: è nato per i turisti e oggi a serve anche i locali. Noi ad esempio, che siamo una cooperativa sociale, stiamo per comprare un pullmino nove posti che vorremmo mettere a disposizione della valle a chiamata.
Altro divide importante è quello del lavoro. Mi spiego: la settorializzazione del lavoro per categorie stride con la stagionalità del mondo montano. Conosco persone che hanno un’azienda agricola e magari sono anche bravi a fare i falegnami, nel periodo invernale, ma devono farlo da hobbisti altrimenti dovrebbero aprire una seconda partita iva artigianale, e poi non ci starebbero dentro con le spese. Ci vorrebbe maggiore elasticità.
Queste le nostre esigenze, che però non sembrano essere state accolte ad esempio dal piano finanziamenti del PNRR, che finanzia con 2 milioni di euro piccoli comuni singoli».
Caterina Alifredi, oltre a lavorare nell’azienda di famiglia de Lo Puy a San Damiano, in valle Maria c’è nata, fa parte di quella seconda generazione figlia dei nuovi montanari che hanno lasciato la città per la montagna, e che insistono nel rimanere: «Oggi quello che manca in questi territori è una politica rivolta alle famiglie che vivono tutto l’anno. Non basta incentivare gli investitori che vengono a lavorare nel settore del turismo stagionale. Va benissimo, porta economia, ma non basta. Il territorio deve organizzarsi come sistema capace di vivere tutto l’anno. I servizi sono carenti perché siamo pochi e sparsi su un’area vasta? E allora ottimizziamoli. Oggi tante famiglie verrebbero trasferirsi a vivere in montagna, ma poi si fanno due conti e ci ripensano. Perché è vero che magari la casa ti costa meno, ma 800 euro di trasporti per mandare i figli a scuola sono troppi. Non ci aiuta. Pensiamo a dei servizi più efficienti e partecipati. Noi ad esempio in Valle Maira abbiamo una chat che anima una sorta di bla bla car nostrano, sulla quale chi scende a Dronero chiede se c’è qualcuno che può dargli un passaggio. E funziona. Ecco sono questi gli accorgimenti a cui dobbiamo tendere se vigliamo un territorio vivibile 365 giorni all’anno».
Residente a Melle ormai da quattro anni, Giuliana Radosta è attratta dal progetto Antagonisti, che oggi condivide. Ma non nasconde le difficoltà, come la differenza tra l’estate e le prima settimane di ottobre, quando tutto sembra rinchiudersi nel suo baccello invernale e le ore passano lentamente: «All’inizio d’ottobre gli anziani che giocano a belot al bar cominciano a lamentarsi del fatto che in paese tutto rallenta e che si annoiano, e per cui alcuni di loro se ne vanno a villeggiare in Liguria. Ecco, ma se in autunno si annoiano loro, noi giovani cosa dobbiamo dire? Perché non si può vivere di solo lavoro, e se mancano le offerte culturali diventa difficile rimanere. Noi cerchiamo da una parte di sviluppare in modo più distribuito il nostro progetto di accoglienza, per evitare di concentrare tutto in pochi mesi estivi. E poi di promuovere la socialità, perché oggi le realtà private, le aziende, in questi comuni alpini devono saper investire parte dei proventi da lavoro in servizi alla società. Per vivere in montagna bisogna essere visionari, è una fatica immane ma bisogna partire da questo punto di vista: una parte la impegno in servizi. Altrimenti si scoppia. L’Associazione Luogo Comune che abbiamo creato a Melle è infatti il risultato degli sforzi congiunti di Antagonisti e Cresco, due aziende private capaci di creare una realtà che oggi organizza ad esempio corsi di filosofia. E investire in questa associazione all’interno delle comunità ci ha permesso di superare anche un altro grosso problema che viviamo quotidianamente, il fatto che oggi non riusciamo a costruire una distanzia tra la vita lavorativa e quella privata. Spesso capita di sovrapporre le due con il rischio alla fine di scoppiare. Invece così lavori per Anatagonisti, e a una cert’ora chiudi e passi all’associazione. Ma deve essere la comunità ad attivarsi, perché oggi dal pubblico ti devi aspettare poco o nulla, troppe lungaggini, e il tempo che passa e va qui da noi non ce lo restituisce nessuno».
Silvia Rovere è la sindaca di Ostana, in valle Po, ma anche un’imprenditrice. E mentre gestisce il Rifugio Galaberna contribuisce con la fascia tricolore allo sviluppo sostenibile e al ripopolamento del piccolo comune, passato da una popolazione di 1.500 abitanti all’inizio del 900 fino a soli cinque residenti negli anni ’80, per poi risalire agli attuali 90 abitanti, di cui 11 bambini. Una sfida tutta in salita che ha visto negli ultimi 30 anni una giunta illuminata superare uno dopo l’altro i molteplici divide della montagna che prima sembravano insormontabili. «Le cose da fare sono ancora tante», spiega la sindaca in un’intervista rilasciata al periodico Vita. E tra le tante si sofferma su una in particolare: «la burocrazia», che «rende faticoso l’avvio delle imprese con regole che vanno bene per una grande città ma qui suonano insormontabili».
La Valle Pellice è fortunata ad ospitare al suo interno la Diaconia Valdese, fa parte della sua storia, e oggi è una delle realtà più attive nel rilancio di un territorio ricco e pieno di opportunità. Il quartier generale della Diaconia è la splendida Villa Olanda di Rorà, dove Davide Paschetto è responsabile del Servizio Giovani e Territorio: «Qui abbiamo una buona offerta culturale, la Valle è molto viva, a Torre Pellice ad esempio molti vengono per quello. Ma il problema, anche da noi, sono i trasporti, che spesso non permettono agli interessati che vivono nei comuni laterali di Rorà o Angrogna di poterne usufruire. E tra i giovani il problema dei trasporti si sente ancora di più, anche per la scuola e le attività extrascolastiche. O hai un familiare che ti porta o rischi di rimanere a fondovalle fino a sera. A volte se ne vanno dalla Valle proprio per questo. I genitori magari scelgono un lavoro legato all’ambiente, in agricoltura, o lavorano in smart working, ma poi i figli restano isolati e ne soffrono».
Infine Pomaretto, dove i ragazzi del Grand Tour sono giunti per fare festa insieme al sindaco e ai montanari residenti prima di appendersi alla slackline del volo del Dahu che attraversa la valle Germanasca. Alice Servi, nuova montanara che molti anni fa ha lasciato Milano per Pomaretto per non farci più ritorno, ha diretto per anni l’Associazione Sviluppo Pomaretto, maturando un punto di vista che ritorna in quasi tutte le testimonianze delle persone sentite: «Il problema più grosso qui da noi è sicuramente quello dei trasporti. Gli autobus hanno orari assurdi che non permettono a giovani ed anziani di poterli utilizzare. E questo si ripercuote anche sulla mancanza di alcuni servizi, che potresti trovare però nei centri limitrofi a patto di poterci arrivare. Perché se è vero che i servizi vanno razionalizzati, e non possiamo replicarli tutti in piccolo qui a Pomaretto, allora devi mettermi in condizioni di potermi spostare per andarli a trovare. I ragazzi potrebbero andare a fare sport da soli, e invece genitori o nonni devono accompagnarli in auto perché i bus hanno orari proibitivi. Inoltre qui da noi mancano anche luoghi di aggregazione informali, dove i ragazzi possano trovarsi per fare qualcosa insieme».
Maurizio Dematteis