F. Barbera, R. Di Monaco, S. Pilutti, E. Sinibaldi, “Dall’alto in basso. Imprenditorialità diffusa nelle Terre Alte piemontesi”, Torino, Rosenberg&Sellier, 2019, pp. 198, 16 euro.

La rappresentazione dell’economia di montagna nel dibattito scientifico e culturale è spesso appiattita su una prospettiva che la interpreta in relazione a categorie fortemente urbane. Così, da un lato, si ha la narrazione di un’economia “eroica” e “resistente”, animata da chi svolge le proprie attività in contesti territoriali descritti come difficili dal punto di vista morfologico, climatico, infrastrutturale e sociale, resi marginali da modelli di sviluppo plasmati su tempi, scale e modi propri di altri luoghi. Dall’altro, si ha la celebrazione edulcorata dell’impresa turistica: in alcuni luoghi raccontata come lenta, sostenibile e locale, in altri come dinamica, innovativa e internazionale; in entrambi i casi organica a un’idea di montagna funzionale alle esigenze della città diffusa.
Fin dal titolo “Dall’alto in basso”, il testo di Filippo Barbera, Roberto Di Monaco, Silvia Pilutti ed Elena Sinibaldi propone uno sguardo diverso sull’imprenditorialità di montagna, che parte dalla constatazione dell’affermazione e della necessità di una “potenziale e nuova convergenza di interessi tra montagna e città-pianura, nell’ottica del reciproco vantaggio e delle potenzialità di innovazione insite in questa modalità di regolazione solidale dei rapporti” (p.11).
Gli autori si propongono un duplice obiettivo: a livello generale, far emergere le specificità organizzative e gestionali di esperienze innovative di microimpresa in montagna, soprattutto nell’ambito dell’agro-pastoralismo multifunzionale; a livello operativo, proporre indicazioni ai decisori riguardo ai servizi reali indispensabili in ogni territorio per garantire a cittadini, istituzioni e imprese un contesto che supporti (o almeno non ostacoli) l’azione pubblica e privata.
Coerentemente con il doppio obiettivo, i contenuti del volume si articolano in due sezioni principali, una analitica e una propositiva.
La sezione analitica è aperta da una ricca e articolata analisi quantitativa delle caratteristiche territoriali, socio-demografiche ed economiche della montagna piemontese, orientata a descrivere il contesto e soprattutto a tratteggiare il potenziale inespresso delle Terre Alte, evidenziando i margini di sviluppo territoriali e settoriali. La rassegna di dati è integrata da un ampio approfondimento qualitativo, che ha l’obiettivo di comprendere le condizioni che favoriscono o ostacolano il fare impresa in tre aree montane prese come casi studio (Valli Cuneesi e Pellice, Biellese, Valli di Lanzo), attraverso la ricostruzione dei percorsi personali e imprenditoriali di circa 60 micro-imprese dei tre territori.
Nella sezione propositiva gli autori si pongono l’obiettivo di ridare voce (soprattutto nel senso della voice politica) alla montagna e ai suoi abitanti, di fronte a un sistema ancora cieco e sordo rispetto alla necessità di quella “curvatura territoriale” delle norme, delle politiche e dei modelli economici evocata, tra gli altri, da Fabrizio Barca e dalla Strategia Nazionale Aree Interne.
Per questo, a partire dalle potenzialità di sviluppo emerse dai dati e dalle criticità identificate attraverso le storie imprenditoriali raccolte e analizzate, il testo propone un vero e proprio piano strategico per la montagna, che articola proposte e azioni puntuali intorno ad alcune questioni identificate come prioritarie: spirale burocratica, accesso al credito e ai finanziamenti, accesso alla terra e alla casa, accesso al sapere e sostegno alle start-up, impoverimento delle attività terziarie, rarefazione dei servizi essenziali di welfare.
Le conclusioni del volume si concentrano su un’argomentazione fondamentale: “la questione montana non riguarda solo la montagna” (p.191), per almeno tre ordini di ragioni. In primo luogo, perché comprendere le dinamiche in corso nelle Terre Alte, in particolare in relazione ai rapporti città montagna, richiede una messa a fuoco della crisi del modello consumistico e produttivista urbano-centrico. Secondo, perché la riflessione su cittadinanza e imprenditorialità nelle aree montane sposta inevitabilmente la discussione sulla voice politica delle aree lasciate indietro da strategie politiche ed economiche decise altrove e sull’urgenza democratica di “includere nelle arene strategiche e nei processi decisionali gli attori e i territori periferici”. Infine, perché il senso di irrilevanza e di abbandono dei cittadini delle aree periferiche è spesso alla radice della diffusione del populismo, che si nutre del sentimento di rabbia nei confronti di un potere percepito come distante e non capace o non intenzionato a ridurre le disparità.
Secondo gli autori è dunque fondamentale progettare servizi e politiche che rendano le aree montane nuovamente attrattive dal punto di vista residenziale e imprenditoriale, pensando a nuovi modelli di relazione tra città e montagna, a somma positiva, fondati su politiche realmente place-based, a partire dai flussi che connettono in maniera inscindibile aree montane e aree urbane e dalla nuova “domanda di montagna” espressa dalla società contemporanea, tanto in città quanto in montagna.
Giacomo Pettenati