L’impulsività perentoria. Ecco, forse, l’aspetto che più mi sta sconvolgendo di questa crisi pandemica. L’incapacità di sviscerare i problemi, l’abitudine a semplificare, la tendenza a ridurre ogni opinione altrui a bieco egoismo ottuso.
Impianti aperti o impianti chiusi, dunque? Facile a dirsi, difficile a farsi. Perché dietro l’apertura di un impianto non c’è un semplice capriccio del giovane spensierato che vuole esclusivamente divertirsi. Ci sono persone, redditi, famiglie, posti di lavoro. C’è il futuro di intere località montane.
Ma quanto eticamente possiamo ancora mettere sotto pressione operatori sanitari, infermieri e medici? Quanto moralmente è accettabile provocare nuovi malati e nuovi morti per accontentare la semplice “voglia di tempo libero”? Ad oggi una popolazione pari quasi alla città di Cuneo è stata inghiottita dal Covid. Vale sempre la pena ricordarlo.
Aprire gli impianti, dunque, e tenere chiuso tutto il resto? Logisticamente complesso e dalle ricadute economiche dubbie. Stringere i denti fino a primavera, allora, rimanendo a casa senza svaghi natalizi per poi allentare (si spera) con i primi vaccini? Famiglie intere si ritroverebbero sul lastrico senza grosse possibilità di ripresa.
Aprire alla fruizione libera della montagna ma tenere chiusi gli impianti? Socialmente non troppo accettabile con il rischio comunque di assembramenti, come ci hanno insegnato i sentieri delle Dolomiti quest’estate. Su tutto, poi, l’aumento inevitabile del rischio infortuni con sovraccarico delle strutture ospedaliere.
Insomma… io una risposta non ce l’ho ancora. La sto cercando da qualche giorno, ma ancora non l’ho trovata. Non invidio e non giudico chi dovrà prendere decisioni in tal senso.
Due rapide considerazioni finali: immedesimiamoci SEMPRE negli altri prima di lasciarci andare a giudizi affilati e affrettati. In una società esistiamo INSIEME agli altri, non a prescindere dagli altri.
In ultima istanza non dimentichiamoci poi dell’altra montagna. Quella in cui non si scia, ma in cui si prova a fare turismo lo stesso con risultati straordinari. E magari approfittiamo del Covid per ripensare alla montagna, al suo sviluppo e alla sua pianificazione. Perché c’è un’ombra gigantesca che incombe sull’arco alpino e si chiama cambiamento climatico. Proviamo, insomma, a guardare al domani davvero. Oggi possiamo farlo, basta non fermarsi al giudizio superficiale e inscalfibile.
Gabriele Gallo, giornalista e comunicatore