I prodotti della montagna devono fronteggiare molteplici sfide per diventare ambasciatori della cultura dei luoghi e poter contribuire alla creazione di modelli di sviluppo sostenibile per le terre alte. Una delle principali è la distribuzione.
Nel 2012, uno studio di Isara (2012, citato nella ricerca Labelling Mountain Food Products In Europe 2013) mostra che il 61.2% dei produttori vende i propri prodotti localmente, il 54.5% a livello regionale, il 64.9% nazionale, il 34.4% nell’Unione Europea e il 15.7% fuori di essa. Gli aspetti che limitano il loro potenziale di distribuzione sono la scarsità di prodotto e incostanza della produzione. Salvo i casi in cui la grande distribuzione attui politiche di sostegno al territorio in un’ottica di responsabilità sociale (come ad esempio ha fatto COOP Svizzera) e quelli in cui la creazione di strutture cooperative consente di organizzare meglio quantità e consegne, la GDO spesso preferisce il prodotto industriale o semi-industriale perché di più semplice gestione e di più facili margini.
Il turismo invernale potrebbe rappresentare un’opportunità importante per la distribuzione dei prodotti della montagna e questi a loro volta potrebbero offrire ai turisti un’esperienza che completa e arricchisce la giornata sulla neve. La ricerca effettuata da JFC per Skipass 2018 lo conferma: per le persone che non sciano – normalmente una o due per famiglia –, ma anche per una fetta di sciatori, le esperienze legate al cibo possono rappresentare un elemento di attrattiva e i prodotti tipici diventare piacevoli souvenir da condividere con amici e parenti al ritorno dalla vacanza; tra i trend del momento c’è poi quello dei tour “sci gourmet”, itinerari guidati durante i quali si raggiungono baite in alta quota dove uno chef prepara un pasto stellato in esclusiva per il gruppo.
L’idea degli itinerari gourmet sugli sci è stata di Norbert Niederkofler, chef tre stelle Michelin che ha fatto degli ingredienti locali la sua cifra stilistica. Non tutti gli itinerari valorizzano però il cibo di territorio: se alcune baite della Val Badia hanno scelto di far conoscere la cucina ladina tradizionale, altri hanno portato in alta quota tartufo e caviale. Altrove, si abbina lo sci alle degustazioni di vino, mentre in Valle d’Aosta si propongono cene con star della cucina in luoghi accessibili solo con le motoslitte.
In Piemonte a promuoversi ai turisti della neve sono prodotti di altre aree della regione. «Ogni sabato, il comprensorio della Via Lattea ospita presentazioni di cantine, consorzi, produttori, ristoratori o cuochi delle Langhe, del Roero e del Monferrato, territori con un’immagine enogastronomica consolidata a livello mondiale – spiega Maurizio Beria, Presidente dell’Unione di comuni della Via Lattea -. Parallelamente cerchiamo di far conoscere una cucina di territorio valorizzando i prodotti locali ma è un’impresa piuttosto ardua». Secondo Maurizio Beria, due ragioni di questa difficoltà sono la scarsa lungimiranza dei produttori e la reticenza a lavorare insieme per cogliere le opportunità che il mercato offre ai prodotti di tipici di qualità, soprattutto in vista della riduzione dei contributi europei. I singoli eroi dell’agricoltura di montagna non possono da soli fornire la quantità di prodotto necessaria a un’industria dai grandi numeri come quella dello sci alpino, inoltre solo strutture collettive possono gestire determinate attività, come ad esempio organizzare una fienagione che consenta di nutrire con fieno locale le mucche che rimangono in montagna anche d’inverno.
Insomma, in Italia quella di agganciare i flussi turistici invernali sembra essere per i prodotti tradizionali della montagna un’occasione persa, affidata all’impegno di singoli chef che hanno fatto della tipicità e del km0 la loro filosofia. Il loro impatto non può che essere limitato. Da decenni ormai il mantra dello sviluppo locale è “fare sistema”. Una progettualità forte e la volontà di collaborare per il bene di tutti sono ciò che serve al cibo alpino per cominciare a pensarsi come motore dello sviluppo delle aree montane periferiche.
Marta Geri