Gli effetti della Grande accelerazione impressa dall’uomo ai processi di cambiamento ambientale negli ultimi 70 anni coinvolgono ormai aspetti molto diversi della nostra esistenza: non solo la natura dei luoghi che ci circondano ne risulta profondamente condizionata, ma cambiano anche i modi in cui noi percepiamo, e interagiamo con questi luoghi. Prendiamo ad esempio l’alta montagna. Da luogo emblematico dominato da solide vette e ghiacci perenni, oggetto di mitiche imprese alpinistiche e studi scientifici pionieristici, si sta trasformando nel modello di riferimento dell’instabilità naturale, per la sua intrinseca fragilità di fronte al riscaldamento climatico che mette in pericolo le risorse dell’ambiente e a rischio la nostra frequentazione.
In particolare, per quanto riguarda gli ambienti glaciali, negli ultimi decenni non sono certo mancati i segni premonitori di una loro rapida trasformazione. Ma chi vi ha prestato attenzione? Solo il lavoro instancabile di ricercatori e operatori glaciologici ha permesso di mantenere memoria dei segnali di ritiro glaciale, producendo serie storiche di dati indispensabili per avviare analisi retrospettive e interpretare gli scenari futuri. Per le Alpi, questi dati parlano chiaro: dal 1850 ad oggi, mentre la temperatura media annuale aumentava di 2°C (il doppio della media globale), le aree coperte dai ghiacciai alpini si riducevano di oltre il 50%. Le prospettive future si ricavano dal confronto coi dati più recenti: dalla fine del decennio 1980 la contrazione dei ghiacciai ha notevolmente accelerato e i delicati equilibri degli ambienti glaciali d’alta quota sono sconvolti dal progredire del riscaldamento climatico.
Ora è giunto il momento di trasformare queste evidenze scientifiche in un patrimonio di conoscenza condiviso con la società: infatti, solo attraverso una diffusa consapevolezza della dimensione del ritiro glaciale vi può essere una chiara percezione della gravità delle sue conseguenze. Passi indispensabili per giungere eventualmente alla messa in atto di adeguate misure di adattamento. Questo è lo spirito, ad esempio, che ha animato la Carovana dei Ghiacciai promossa da Legambiente, alla quale ha aderito il Comitato glaciologico italiano.

Il Comitato glaciologico italiano (Cgi) è un’istituzione scientifica storica: fondata nel 1895 a Torino all’interno del Club alpino italiano, per dare impulso agli studi sui ghiacciai, è diventata autonoma nel 1914, anno in cui nasce il Bollettino del Comitato glaciologico italiano (oggi “Geografia fisica e dinamica quaternaria”), la rivista di riferimento per la ricerca glaciologica in Italia. Da allora, il Comitato glaciologico continua lo studio della dinamica ed evoluzione dei ghiacciai attraverso un’opera di ricerca condivisa con la società. Infatti, le annuali Campagne glaciologiche organizzate dal Cgi sono condotte da operatori volontari su circa 200 ghiacciai-campione delle Alpi e dell’Appennino (su un totale di circa 800). Anno dopo anno, sono state raccolte informazioni analitiche e di sintesi ed una ricchissima iconografia sugli apparati glaciali italiani, custodita nell’archivio storico della sede del Cgi a Torino. Questo patrimonio di conoscenze ha permesso al Comitato glaciologico italiano di partecipare negli ultimi decenni al dibattito della Comunità scientifica internazionale su cause ed effetti del riscaldamento climatico globale. Ma non solo: con la loro digitalizzazione, i dati dell’archivio storico Cgi e i risultati delle Campagne glaciologiche diventano potenti strumenti di divulgazione a supporto dell’ambientalismo scientifico.
La Carovana dei Ghiacciai di quest’anno ha infatti sottolineato come solo attraverso l’attenta analisi di particolari indicatori del cambiamento ambientale è possibile comprendere che i processi che influenzano il clima possono esibire notevole variabilità naturale, cosi come subire forti condizionamenti da parte dell’uomo. Attraverso un’opera collettiva di ricerca (“citizen Science”), con la condivisione di metodi e strumenti scientifici (“engaged research”), si possono rilevare le velocità dei cambiamenti climatico-ambientali registrati nei ghiacciai, veri e propri archivi naturali, confrontarli con i dati degli archivi storici, ricavando quindi le evidenze dell’effettivo cambiamento climatico attuale.
Il Comitato glaciologico porta avanti senza interruzioni la propria opera volontaria da oltre un secolo. Un’opera indispensabile per ricostruire i cambiamenti climatici del passato: non solo attraverso lo studio geologico e geomorfologico delle modificazioni delle forme e dei depositi glaciali, ma anche dall’interpretazione delle condizioni atmosferiche registrate anno dopo anno nelle caratteristiche chimiche e fisiche dei ghiacci. I ghiacciai sono degli indicatori sensibilissimi del cambiamento climatico in atto: le loro trasformazioni possono essere confrontate con altre variabili naturali e antropiche, per capire se e come possono perturbare il bilancio delle radiazioni della Terra, influendo sul clima.
E’ ormai irrinunciabile approfondire le ricerche sulle variazioni dei ghiacciai e sul loro comportamento futuro, per le notevoli implicazioni per la salvaguardia dell’ambiente e dell’economia della regione alpina. Questa attività di grande importanza sociale è ancor oggi effettuata su base volontaria e con scarsissime risorse economiche da parte degli operatori del Comitato: con l’accelerazione dei cambiamenti climatici e ambientali lo spirito del comitato potrebbe non bastare, occorre quindi un adeguato sostegno economico da parte dello Stato, delle regioni e fondazioni private.
Marco Giardino, Segretario del Comitato Glaciologico Italiano

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