Uno scrittore che vive in una baita, ai margini di quel bosco, vincitore del Premio Strega con un romanzo di montagna e amicizia, potente ed evocativo. Un’associazione di cittadini e montanari, appena nata ma ambiziosa, che intende porsi come tramite tra mondi differenti e distanti, ma non certo contrapposti, a partire dalla costruzione di una comune cultura delle terre alte. Molti ospiti diversi, tra alpinisti, scrittori, artisti, musicisti, neo montanari, giornalisti, ricercatori: tutti in qualche misura in movimento tra città e montagna.
Sono questi gli ingredienti del festival “Il richiamo della foresta”, organizzato dall’Associazione “Gli Urogalli” tra il 21 e il 23 luglio, con il contributo fondamentale di Paolo Cognetti, l’autore del romanzo “Le otto montagne”, al quale parteciperà Dislivelli, insieme a nomi del calibro di Mauro Corona, Hervé Barmasse, Folco Terzani e molti altri.
L’idea del festival è nata dalla decennale esperienza di vita e scrittura di Cognetti in una baita su questi monti, dal radicamento che nel tempo ha costruito in questo territorio e dalla consapevolezza che serva una nuova relazione tra pianura e terre alte: un rapporto da costruire guardando a un comune orizzonte di sostenibilità, di sobrietà, fors’anche di decrescita, ma nel contempo di rispetto reciproco e di ricerca di una dimensione appagante e condivisa sul piano culturale, sociale, economico. Una dialettica molto pragmatica e positiva, che vuole sfuggire tanto la retorica delle “patrie montane”, quanto quella delle smart valley e della banda larga in ogni rifugio.
Al “richiamo della foresta”, specialmente se declinato in questi termini, non potevamo dunque non rispondere anche noi di Dislivelli, quando Cognetti ci ha proposto di organizzare un dibattito all’interno del festival: è nata così l’idea di un confronto pubblico con i “nuovi montanari”, ovvero con quei “pionieri” del neopopolamento delle terre alte che la nostra associazione da tempo segue, studia e cerca di supportare con ricerche, articoli e progetti.
Nella mattinata di sabato 22 luglio, nella radura del Pian dell’Orgionot, abbiamo invitato alcuni amici a raccontarci le loro storie di moderni abitanti alpini: ci saranno “montanari per scelta” come Federico Chierico, biellese di nascita, che insieme a tre amici (due valligiani e un biellese) ha messo in piedi un’azienda agricola in alta valle del Lys, dove si coltivano varietà antiche di ortaggi, con una accurata ricerca e tutela di decine di patate “in via d’estinzione”, provenienti da diverse aree alpine. Ci sarà Bruno Morella, originario di Genova e laureato in agraria a Torino, che ha deciso di andare a vivere in Valle Varaita con la sua compagna, e prendere in gestione un nuovo rifugio, tutto da inventare, il Meira Paula, frutto del recupero di un edificio rurale abbandonato. O ancora, ci sarà Doris Femminis, di Cavergno, nella ticinese Val Bavona: infermiera psichiatrica, Doris ha allevato capre in montagna per otto anni, raccogliendo testimonianze e racconti della civiltà contadina che ha fatto confluire nel suo intenso romanzo “Chiara cantante e altre capraie”; attualmente Doris vive e lavora sugli altopiani svizzeri del Giura, dove pratica l’antica e rinnovata professione di infermiera a domicilio.
E poi ci sono i “montanari per forza”, come Aliou Barça Sabaly, ragazzo senegalese diplomato in lingue e fuggito dalla deriva integralista in atto nel suo Paese: arrivato come richiedente asilo in Val di Lanzo due anni fa, in seguito a ricollocazione provvisoria in attesa del riconoscimento come rifugiato, Aliou è oggi una delle voci del Coro Moro, ensemble di immigrati stranieri che cantano in piemontese, con una originale contaminazione tra ritmi africani e tradizione canora alpina.
Molte altre saranno le presentazioni e le performances durante i tre giorni del festival, spaziando da Mauro Corona (che realizzerà dal vivo una scultura lignea) a Giuseppe Medicino (che racconterà il suo rapporto con Mario Rigoni Stern, di cui ha curato la biografia), da Hervé Barmasse (tra i più forti alpinisti oggi in campo) a Linda Cottino (che modererà una tavola rotonda sulle donne di montagna, insieme alla giornalista Elena Mordiglia). E poi verrà mostrato il lavoro di fotografi e documentaristi appassionati di terre alte, come Folco Terzani o Stefano Torrione, e ci sarà anche chi, come Nicola Magrin, dipingerà il bosco e i suoi ospiti con un acquerello gigante, coinvolgendo i partecipanti al festival nella performance artistica.
La radura tra i larici ospiterà anche diversi concerti, che vedranno sul palco gruppi come i valdostani L’Orage o i multietnici Metrobrousse, col loro folk contaminato da sonorità contemporanee. E sempre nella foresta sarà possibile rimanere durante il festival: wc garantiti ma docce no, perché, come dicono gli organizzatori, “per tre giorni, prenditi la libertà di profumare di bosco”!
Una tre-giorni davvero unica, quella in programma a Estoul, che prefigura e concretizza un’idea di montagna particolare, dove l’arte, la parola scritta e parlata, la musica, la rappresentazione visuale e il racconto giocano un ruolo centrale nel tentativo di connettere in modo nuovo le città alle terre alte, senza mettere in secondo piano la dimensione fisica, materiale, del confronto: il bosco, le tende, il cammino, la verticalità, la notte, il silenzio.
L’esperimento che Paolo Cognetti e la sua associazione “Gli Urogalli” hanno messo in campo è di grande interesse e merita di essere condiviso: ai “nuovi montanari”, per diventare davvero un movimento di largo respiro, in grado di attrarre crescenti quote di persone (e di giovani, innanzitutto), serve infatti un immaginario alpino forte, una fascinazione potente ma non passeggera, che sia nel contempo costruita su proposte solide e su rapporti concreti. Un’idea di montagna non residuale, che possa attecchire nelle aspettative e nei sogni di molti, per poi trasformarsi nella realtà di vita di numeri crescenti di persone.
Un “richiamo della foresta” nel senso londoniano e epico del termine: un ululato che passi pure dal web e da Facebook, senza snobismi elitari e con una gioiosità di fondo, purché sia una chiamata in grado di attrarre verso l’alto la moltitudine di persone a cui la città non basta o che da essa vogliono fuggire.
Andrea Membretti