Paolo Paci, “4810. Il Monte Bianco, le sue storie, i suoi segreti”, Corbaccio, Milano 2018, 300 pagine con immagini, 19,90 euro

C’era bisogno di un altro libro sul Monte Bianco? Come sempre la risposta è relativa perché dipende dal libro, e in questo caso è affermativa perché del Bianco si è sempre trattato in forma scientifica, o alpinistica, o storica, o oleografica, senza entrare nelle dinamiche complesse che da mito elitario dell’alpinismo romantico l’hanno portato a diventare crocevia di turismo, caos e contraddizione, ma anche baluardo di natura selvaggia nel cuore delle Alpi occidentali. Paci racconta il Monte Bianco con l’occhio del giornalista smaliziato, buona penna e ottimo osservatore, come aveva già fatto con il Cervino nell’anno dell’anniversario. Paci ha la competenza dell’alpinista e la stoffa del narratore, riesce a tradurre visioni complesse in immagini chiare, ma non semplicistiche. È tra i pochi che fanno ancora del giornalismo di montagna con la tensione dell’inviato, senza fermarsi alle apparenze e ai luoghi comuni.
In mezzo a un’infinità di storie e segreti, emerge un Monte Bianco che è anche il laboratorio (non sempre riuscito) della nuova Europa. Il viaggio parte dal versante italiano per passare in Francia e in Svizzera, fino alla cima del tetto d’Europa, contesa terra di tutti e di nessuno. E alla fine il cronista annota: «Sembra la montagna più conosciuta di tutte ma più la si frequenta più s’ammanta di mistero… Quanto cammino e quanti scenari sorprendenti. Quanta vita!».
Enrico Camanni