In Piemonte l’Unesco è diventata ormai di casa. Dopo l’iscrizione delle Regge sabaude (1997) e dei Sacri Monti (2003) nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità, la candidatura del paesaggio vitivinicolo di Langhe-Roero e Monferrato – che verrà valutata l’estate prossima da parte del World heritage committee – e l’avvio del processo di candidatura per il Parco delle Alpi Marittime (insieme ai francesi del Mercantour), da alcune settimane anche il Parco del Po cuneese si è attivato per realizzare il dossier di candidatura del proprio territorio, con l’obiettivo di farne la prima Riserva della biosfera delle Alpi italiane.
A differenza del Patrimonio mondiale dell’umanità, che include siti naturali e culturali il cui eccezionale valore è di scala universale, la creazione delle Riserve della biosfera, che fanno parte di un programma Unesco il cui evocativo nome è “Man and biosphere” (Mab), ha l’obiettivo di porre le basi scientifiche per migliorare le relazioni tra l’uomo e l’ambiente, a scala globale. In Italia al momento sono state individuate otto Riserve della biosfera, dalle caratteristiche e dalle dimensioni molto diverse, da territori complessi e di grandi dimensioni come l’Arcipelago Toscano, la Valle del Ticino o il Cilento, a realtà molto puntuali come la riserva marina di Miramare, intorno al celebre castello alle porte di Trieste. A guidare il processo di definizione della candidatura – che coinvolgerà l’intero territorio italiano del Programma integrato transfrontaliero (Pit) Monviso (le Valli Po, Varaita e Maira e la pianura saluzzese) – è un team di esperti del Cursa (Consorzio universitario per la ricerca socioeconomica e per l’ambiente), incaricato dal Parco del Po cuneese di condurre il delicato percorso di negoziazione che ha come obiettivo la redazione di un dossier di candidatura il più condiviso possibile da tutti gli attori territoriali.
A capo del gruppo di lavoro del Cursa, composto da geografi, sociologi, naturalisti ed agronomi, c’è Giorgio Andrian, geografo veneto che da anni si occupa di siti Unesco e Riserve della biosfera e che crede molto nelle potenziali ricadute di un’eventuale successo della candidatura in termini di sviluppo locale: «In un contesto come quello dei territori del Monviso, sia sul versante francese che su quello italiano, si è pensato di utilizzare il modello della Riserva della biosfera, eventualmente transfrontaliera, per una progettualità territoriale di scala ampia – spiega –. È interessante notare come la proposta di intraprendere il cammino della preparazione della candidatura Mab sia partito su entrambi i versanti dai due parchi – Po Cuneese e Queyras ndr -, anche se con tempi e modalità leggermente diverse. Si tratta di un allargamento di vedute e di progettualità, in parte già in essere con il Pit, che si è trovato a proprio agio nei “panni” della Riserva della biosfera: un “vestito ampio ed elasticizzato” che non introduce nuovi vincoli, permettendo al contempo di ragionare su funzioni e zonizzazioni. Il tutto poi da inserirsi sotto il “tetto” dell’Unesco, che conferisce uno status internazionale al progetto».
Il percorso ufficiale verso la candidatura è iniziato con un incontro pubblico che ha riunito a Saluzzo i sindaci di tutti i comuni del territorio interessato, la cui “core zone” – la riserva vera e propria – coinciderà probabilmente con i confini del parco e sarà circondata da un’area cuscinetto che potrebbe includere tutti i quasi 200 comuni interessati dal Pit Monviso. Le strategie descritte dagli esperti del Cursa e dai rappresentanti del Parco del Po sembrano avere convinto la maggior parte degli amministratori locali, desiderosi di sentirsi rassicurare rispetto all’assenza di nuovi vincoli e interessati a capire quale potrà essere il loro effettivo impegno in quanto rappresentanti di enti spesso di piccolissime dimensioni, già in difficoltà nello svolgere il lavoro quotidiano.
Uno dei temi più interessanti emersi dall’incontro di Saluzzo è relativo ai rapporti di forza tra la pianura, spesso in posizione dominante, e la montagna, che rappresenta la parte più estesa e di maggior valore ambientale dell’area interessata dalla candidatura. Se alcuni interventi hanno mostrato il timore di essere sopraffatti, che rischia di tradursi in un localismo becero (con uscite del tipo “il Monviso è nostro! Non della pianura né dei francesi”!), altre considerazioni si sono soffermate in maniera più approfondita sulle potenzialità delle risorse della montagna, che progetti come questo potrebbero contribuire a valorizzare. È questa l’ottica del sindaco di Ostana, Giacomo Lombardo, che già in diverse occasioni si è dimostrato uno degli amministratori più illuminati delle alte valli piemontesi: «Il fiume Po è una risorsa tanto per la pianura quanto per la montagna, ma nelle valli l’abbandono dell’agricoltura ha fatto sì che oggi il letto del fiume sia stato lasciato alla natura intesa nel senso peggiore. Per questo c’è bisogno di interventi specifici, che devono essere condivisi con chi in montagna ci vive. È chiaro che condividiamo questo progetto di candidatura, ma per il momento si tratta solo di parole, bisogna vedere in che cosa di concreto si trasformeranno, noi siamo stanchi di annunci. Un elemento positivo è senz’altro costituito dal rapporto transfrontaliero con il Queyras, che per il momento, nonostante il Pit, è affidato quasi esclusivamente ai rapporti personali tra amministratori italiani e francesi».
Se diventare Riserva della biosfera significa migliorare le relazioni tra uomo e ambiente, dunque, è fondamentale che si tenga presente il secolare rapporto che tra essi esiste in montagna e che non la modernità, ma politiche sbagliate e orientate solo alla pianura e alle città, stanno rischiando di far scomparire in fretta. Se gli attori della candidatura sapranno ascoltare la montagna, territorio più debole, ma che ha molto da dire, la prima Riserva della biosfera potrà davvero costituire un modello di sviluppo sostenibile alpino da riconoscere, valorizzare e diffondere.
Giacomo Pettenati