Chiedersi se valga l’opportunità di creare il Parco Regionale del Monviso può sembrare domanda oziosa, ai tempi della grande crisi che schiaccia ogni opzione ambientale sotto l’imperativo dello sviluppo economico e sociale. Eppure non mancano le ragioni per ritenere che proprio le politiche ambientali siano la chiave per uscire dalla crisi e affrontare efficacemente le sfide della globalizzazione. Basti pensare all’esigenza improcrastinabile – che le politiche dei parchi e delle aree protette tipicamente comportano -di superare le logiche dell’emergenza con visioni di sistema.
Tuttavia la discussione delle ragioni pro e contro l’istituzione e la gestione dei parchi sembra spesso ostacolata dalle carenze di informazione che offuscano la conoscenza di questi strumenti fondamentali delle politiche ambientali. In realtà, la portentosa crescita del numero e della superficie dei parchi naturali, in quasi tutti i paesi compresa l’Italia, si è accompagnata ad un profondo cambiamento del loro significato e del loro ruolo per la società contemporanea. Per parlare di parchi, occorre anzitutto chiedersi cosa sono, visto che essi, o più precisamente i “parchi nazionali”, sono da tempo entrati a far parte di un sistema assai più articolato di categorie di “aree protette”, quali quelle classificate nel 1994 dall’Iucn (Unione mondiale della natura), con scopi e forme di tutela molto diverse (dalle “riserve naturali” dedicate alla protezione esclusiva della biodiversità, ai “paesaggi protetti” in cui l’oggetto di tutela è costituito da peculiari equilibri tra le attività antropiche e le dinamiche naturali). E alle aree protette così classificate e conseguentemente istituite dalla maggior parte dei paesi, si aggiungono quelle riconosciute a livello internazionale (come i Mab o i Geoparchi), nonché , per i paesi dell’Unione Europea, i Siti d’interesse comunitario e le Zone d’interessse speciale, che compongono la Rete europea Natura 2000. Quale che sia la categoria da attribuire alla nuova area protetta, questa non potrà che inserirsi in un sistema che già comporta funzioni diversificate di regolazione su tutto il territorio.

Alla luce delle esperienze e degli orientamenti internazionali – coi quali la nuova area dovrebbe confrontarsi – tali funzioni non sono in alcun modo riducibili ad un insieme di misure di protezione, da aggiungere ai vincoli in atto. Le concezioni cui si ispirano i “nuovi paradigmi” per la conservazione della natura lanciati dall’Iucn nel 2003 (ma già in qualche misura anticipate coi parchi regionali dall’Italia e da altri paesi ) non tendono ad individuare aree ed ecosistemi da “mettere da parte”, al riparo dai processi economici e sociali che investono i territori della contemporaneità, ma tendono a stimolare e guidare tali sviluppi in modo da migliorare la qualità dei contesti di vita delle popolazioni, dentro e fuori dalle aree di specifica protezione. Va notato che questo obiettivo trova riscontro, non solo nella Convenzione Europea del Paesaggio, varata dal Consiglio d’Europa nel 2000, ma anche nei riconoscimenti dell’Unesco dei Siti del Patrimonio Mondiale dell’Umanità e nelle candidature più recenti. Sotto entrambi i profili, il riferimento al paesaggio e quindi alle risorse e alle relazioni culturali appare oggi fondamentale.
Queste concezioni, calate nella realtà territoriale del Monviso, implicano un’attenzione particolare della proposta istitutiva per i problemi e i conflitti che ne potrebbero derivare. Essi riguardano in primo luogo il rapporto tra i valori universali e i valori locali, che la proposta mette in gioco e che sono già stati ben evidenziati da diversi interlocutori. Da un lato, si è posto in rilievo il contributo che il nuovo parco potrebbe produrre in ordine alla promozione dei valori universali, grazie all’eccezionale notorietà e rilevanza del “marchio” e dell’immagine del Monviso, nel quadro della progettualità trans-frontaliera per la promozione turistica e culturale; in grado, peraltro, di intercettare finanziamenti europei a sostegno dell’economia agroforestale e del turismo. Dall’altro lato, si è messo l’accento sul ruolo insostituibile storicamente esercitato dalle comunità locali nel governo e nella costruzione del territorio, sulla rilevanza della cultura occitana nel panorama europeo, sul successo di progetti di sviluppo locale come quelli della Val Varaita e delle Langhe.
In questo, come in altri contesti territoriali, la gestione del patrimonio naturale-culturale deve fare i conti con le divergenze e i conflitti che nascono dalla diversità degli interessi, dei valori e delle percezioni.
Ciò è particolarmente evidente nei territori di montagna, in cui sistemi locali deboli e vulnerabili sono assediati dai sistemi urbani e produttivi esterni. Tuttavia, anche in questi contesti si può osservare come i valori universali affondino le proprie radici nei sistemi locali: nella pregnanza dei sedimenti tangibili ed intangibili di storie millenarie, dei paesaggi che ne attestano l’identità, delle memorie, delle nostalgie e dei desideri che ne esprimono le intenzioni di sviluppo.
Il nuovo parco, se ci sarà, non potrà che emergere dal dialogo e dal confronto aperto degli attori e delle comunità locali sulle intenzioni perseguibili, nel rispetto dei principi fondamentali assunti e condivisi.
Roberto Gambino