Luca Rota, “uno che scrive” come si definisce, studia il rapporto tra l’umano e l’ambiente, in particolare quello montano. Ed è questo lo sguardo con cui ci racconta di dighe, un po’ antropologico e un po’ di camminatore curioso. Si occupa di progetti e produzioni culturali per i territori di montagna (non solo), innanzitutto come membro del team dell’Officina Culturale Alpes. A oggi ha pubblicato tredici libri di poesia, narrativa e saggistica, nei quali esplora la relazione tra i territori, i luoghi, le genti che li abitano e i paesaggi che ne derivano. Per leggere ciò che scrive si consiglia di visitare il suo sito (www.lucarota.it) e il suo blog (https://lucarota.com).
Perché le dighe sono miracolose?
Luca Rota nel podcast ci spiega che ha definito le dighe “un miracolo”, perché nel suo lungo camminare e viaggiare per montagne si è reso conto come di fronte a questi imponenti muraglioni (che potrebbero per certi versi essere considerati alla stregua di ecomostri) si viene affascinati più che respinti. L’indagine di Luca è partita proprio dal domandarsi perché un elemento così impattante nel territorio montano diventi un elemento antropico così attrattivo.
Nella chiacchierata, per addentrarci nel tema, gli abbiamo chiesto di spiegarci un termine chiave che è “territorializzazione”. Questo termine tecnico dell’antropologia culturale indica la trasformazione del territorio al servizio dell’uomo e dell’esigenza di renderlo abitabile e accogliente. Le più tipiche territorializzazioni subite dalle Alpi da fine ’800 in avanti sono quelle legate all’industrializzazione dei fondovalle e alla frequentazione turistica.
Ci siamo chiesti quale sia la differenza tra una territorializzazione che cerca un equilibrio con l’ambiente e una che invece si pone in contrasto. Benché una simile domanda potrebbe richiedere giorni di dissertazione, sicuramente una prima risposta passa dal chiedersi cosa l’intervento umano abbia portato al luogo: c’è stato solo uno sfruttamento del territorio oppure ha cercato un equilibrio tra prendere e dare? Anche in questo caso Luca ci ha spiegato come le dighe risultino aver innescato un processo “miracoloso” nella relazione con il territorio. Per provare a capire questa relazione e rifletterci vale sicuramente la pena ascoltare la chiacchierata e ancor più leggere il libro.
Acqua elemento vitale
Sicuramente non secondario nel “miracolo” della diga è la presenza dello specchio d’acqua che si viene a creare: è a tutti gli effetti un lago che va a dialogare con l’ambiente della valle in cui si inserisce. L’acqua è l’elemento che noi, anche istintivamente, riconosciamo come vitale per eccellenza.
Ben diversa è la situazione per altri bacini artificiali, seppure molto più piccoli, come quelli creati al servizio dell’innevamento delle piste. Come ci spiega Luca Rota essi si collocano in un rapporto completamente diverso con il territorio e, per come sono costruiti, non possono essere un elemento che dialoga con l’ambiente aggiungendo valore e generando biodiversità.
Da queste considerazioni è scaturita la riflessione sulla necessità da qui in avanti di un confronto e un ragionamento sincero e profondo sulla gestione dell’acqua. Abbiamo ora toccato con mano, anche in territori storicamente ricchi d’acqua, cosa significhi la sua scarsità e quanto elevato sia il rischio di andare verso una “guerra dell’acqua” se questa fondamentale risorsa verrà mal gestita.
Infine, la domanda che rimane aperta (ma Luca Rota nel podcast e nel libro ci dà alcuni elementi su cui ragionare): le dighe sono solo un passato o hanno anche un futuro?
Luca Serenthà