In Trentino sarebbe normale, a Torino no. È decisivo che il programma Torino e le Alpi abbia scelto di estendere il suo Festival estivo alle valli alpine, promuovendo dei Luoghi – proprio nell’accezione che a Dislivelli diamo al termine “luogo”: centro simbolico, crocevia, anima del territorio – pronti a ospitare musiche, parole e immagini della montagna, e capaci di fare arte e cultura con quelle suggestioni. Non in città, ma in montagna.
Ci sarà anche Torino naturalmente, ma il bando della Compagnia di San Paolo ha selezionato dodici progetti che gravitano nelle valli piemontesi e valdostane, virtuosi incroci di città e montagna, basso e alto, terra e cielo. Non è tanto il confrontare la cultura urbana con quella alpina – perché di una sola cultura parliamo, ormai – quanto il ragionare di montagna in termini artistici e creativi, promuovere la montagna come luogo della fantasia e dell’emozione, ridare dignità simbolica e territoriale a un mondo culturalmente subordinato a quello metropolitano, nonostante gli echi della storia e della memoria alpine. I progetti che andranno in scena nelle valli tra luglio e settembre (e si è già cominciato a giugno) dimostreranno che attraverso la musica, la letteratura, il teatro e le arti figurative si può rappresentare quel mondo amato e negletto, desiderato e dimenticato, e si può farlo con i linguaggi di oggi, non con la retorica del bel tempo andato. Certificheranno che oggi c’è chi lo sa fare, e magari lo fa splendidamente da anni, anche se non se ne parla mai in giro. Sdoganeranno un movimento “clandestino” che esisteva già, e ci credeva, ma aspettava di venire alla luce.
Alla domanda se quei progetti nascano in città o in montagna, la risposta è che nascono a metà strada, fondendo la professionalità e la cultura urbana con il magnetismo delle altezze. C’è un solo autore che viene al cento per cento della montagna: si chiama Mauro Corona e, come il suo predecessore Mario Rigoni Stern, incarna le gioie e i dolori di una civiltà rurale scomparsa da anni ma presentissima sotto pelle in tutti noi, che anche senza saperlo siamo orfani giovani di quel mondo contadino. Sarebbe comunque inutile e stucchevole contrapporre ancora una volta la città alla montagna, il presente al passato, l’innovazione alla tradizione, come se i territori fossero imprigionati per condanna altitudinale in categorie culturali e mentali. Non è così, non lo è mai stato, e adesso abbiamo solo un gran bisogno di raccontare con occhi e parole nuove, liberandole dal pregiudizio e dal conformismo. Il Festival Torino e le Alpi sarà un successo – e lo sarà – se saprà distinguere tra buona e cattiva musica, buona e cattiva letteratura, buono e cattivo teatro, sincera e falsa espressione. Non importa da dove vengono, l’importante è che ci parlino del su e che vadano giù, al cuore.
Enrico Camanni