Da Ginevra alle valli Valdesi attraverso le montagne. Quindici giorni zaino in spalla ripercorrendo l’itinerario del Glorioso Rimpatrio, che nel 1689 riportò a casa una parte dei Valdesi esiliati. Una proposta in sintonia con questi tempi, in cui i cammini storici attirano un gran numero di appassionati. “Ma non è solo trekking”, spiegano i protagonisti, Daniele, Anna, Giacomo e Paolo, del gruppo giovani Valdesi di Pinerolo. Già due anni fa avevano compiuto il viaggio per presentare lo spettacolo teatrale “Il nostro viaggio, il nostro esilio” che tiene viva la memoria di una delle pagine più intense della storia di questo popolo: “Narrando una vicenda storica, vogliamo far riflettere su migrazioni forzate, persecuzioni, intolleranza, che oggi sono questioni fondamentali”.
«A Ginevra lo spettacolo è stato rappresentato al museo della Riforma, per il pubblico della borghesia ginevrina, ma anche in un centro sociale della banlieu aperto ai migranti – racconta Davide Rosso, direttore del Centro Culturale Valdese -. Parlare di migranti forzati in cerca d’asilo alla fine del ‘600 ai migranti di oggi è stato spiazzante. La lingua con cui i nostri ragazzi raccontano la storia è un idioma regionale, diverso dal francese ginevrino: e anche chi ascoltava parlava un francese altrettanto regionale, ammesso che lo parlasse”.
E’ un esempio di come si può mantenere viva la propria cultura e la propria identità, conoscendo il passato e riversandone i valori nel presente. Con tutte le contraddizioni che segnano il futuro di tutta la montagna. Spopolamento, difficoltà a trovare lavoro, carenza di trasporti e servizi, isolamento. «Negli ultimi anni c’è un ritorno, soprattutto da parte di pensionati che qui ritrovano le loro origini», dice Marcello Salvaggio, pastore di Pomaretto, originario di Palermo, una delle tante città italiane dove vivono comunità di fedeli. Ci sono anche alcuni giovani che si sono ricreati una vita qui, anche in alta valle: ma li conti sulla punta delle dita, parliamo di quattro o cinque nuclei familiari. Non provengono solo da questo territorio, ci sono lombardi, toscani, che hanno trovato qui uno stile di vita più sostenibile e la possibilità di partecipare alla vita della comunità.
Ovunque vivere nelle alte valli è ancora molto difficile. Erica Tomassone, pastora a Villar Perosa, e vice moderatora della Tavola Valdese, ricorda di quando era pastora a Rorà, a 7 km da Luserna, dove ci sono tutti i servizi di prima necessità: la posta, la farmacia. Anche una distanza così breve può creare isolamento. «Abbiamo anche provato a trovare soluzioni condivise – spiega Tomassone -: c’era un gruppo WhatsApp, per i giovani, che per un po’ ha funzionato. Ma per gli anziani è più complicato».
Molti giovani valdesi tornano dopo essersi formati in città e portano avanti aziende di famiglia, nell’allevamento e in agricoltura. Anche in montagna ci sono centri e periferie insomma, e se non ci sono servizi non si è collegati con il mondo. L’accesso a internet è una priorità, e la scuola è tradizionalmente centrale per i Valdesi. Mentre nell’Italia post unitaria l’analfabetismo sfiorava il 75 per cento, i valdesi erano all’avanguardia: le scuolette Beckwith, diffuse in ogni borgata dagli anni ’30 del 1800, offrivano, partendo dalla lettura biblica, l’istruzione elementare a bambini e bambine. Charles Beckwith era un generale inglese che si appassionò alla storia dei Valdesi: dagli anni 50 dell’’800 visse a Torre Pellice, dove morì. E’ solo uno degli esempi del legame tra il mondo valdese e quello protestante. Dopo il 1848, anno della concessione dei diritti civili ai Valdesi con le lettere patenti di Carlo Alberto, Torino poté diventare città di riferimento per i Valdesi. «Uomini e donne – spiega la pastora Erica Tomassone -: non era scandaloso che una ragazza lavorasse e molte giovani trovarono impiego in città come bambinaie. Erano apprezzate perché sapevano parlare e scrivere il francese.
Come fanno i giovani a conservare la loro identità culturale? “«Conosco molti giovani che vivono in Lussemburgo, a Ginevra, in Inghilterra – continua Davide Rosso – ma conservano il legame con le valli. E non è un legame di pancia, ma significa tornare, anche saltuariamente, e riportare qualcosa: una riflessione, una voglia di partecipare».
Quanto al lavoro, la Diaconia valdese offre impiego per mantenere una rete di servizi, dall’ospedale alle attività socio assistenziali. Dei 700 dipendenti della Diaconia circa la metà è attiva nelle valli. «Non si tratta tanto di creare posti di lavoro, ma di offrire un servizio, che per noi è una forma di restituzione alla società – dice Davide Rosso -. Fin dalla nascita della Commissione per la Diaconia è sempre stato chiaro che non si privilegia chi è valdese ma chi ha la professionalità per svolgere quel lavoro. Non importa se è musulmano, valdese ebreo o cattolico: ai dipendenti della diaconia valdese che non sono protestanti però viene fatto un breve corso introduttivo, perché sappiano che sono chiamati a svolgere un certo tipo di lavoro che non serve per salvarsi l’anima ma per avere un maggior benessere sociale».
E’ così, per sostenere servizi per la comunità, che vengono impiegate le risorse dell’8 per mille destinati da molti, anche laici o appartenenti ad altre religioni, destinano alla Chiesa Valdese. Con la certezza che nemmeno un euro verrà utilizzato per altri scopi.
Oggi anche in comunità strutturate e vivaci come quella Valdese c’è la tendenza a chiudersi in casa, nel proprio microcosmo rassicurante. «Il giardino diventa il tuo confine, guardi la tv, navighi su internet e hai l’illusione di essere connesso con il mondo, ma in realtà ti chiudi all’esterno, al vicino – dice Erica Tomassone -. La chiesa spende tante energie per contrastare questa ideologia della difesa del territorio, ma molti non sanno resistere e diventano intransigenti con chi ha altre visioni del mondo, altre aspirazioni».
Come valuta la strategia nazionale per le aree interne la Pastora Erica Tomassone? «Periodicamente si parla di iniziative di questo tipo, mi auguro che questa volta la politica se ne occupi veramente, visto che molto spesso in Italia si emanano leggi di avanguardia senza poi rispettarle. Mi dispiacerebbe se la montagna diventasse un posto da ricchi, popolato da gente che compra un rudere, ne fa un villone con piscina ma neanche sa dov’è, ignora la storia del luogo e non ha nessuna relazione con la comunità».
Claudia Apostolo