Antonio De Rossi nel libro “La costruzione delle Alpi” (Donzelli Editore 2014), ripercorre i tratti salienti che nell’Ottocento e nel primo Novecento hanno consentito lo sviluppo turistico delle Valli di Lanzo e che oggi meriterebbero di essere rivisti con attenzione perché forse contengo i “prodromi di una possibile rinascita”. Ne sono convinto anche io sebbene dall’alpinismo ottocentesco dovremmo tutti quanti scendere un po’ più in basso per accettare serenamente che la “piccola Svizzera alle porte di Torino” la puoi incontrare lungo la sua meravigliosa rete sentieristica, così curata con mirabile impegno dal Cai di Lanzo e dalla Regione Piemonte, ma così poco compresa dai valligiani nella sua visione creatrice di ricchezza, soprattutto da quando la scorciatoia dei fondi europei ha portato ad accorciare l’orizzonte ove far germogliare progetti credibili.
Ma perché capita che dei Comuni come Balme, Groscavallo, Cantoira, Ceres, ecc., sguinzaglino ruspe stantie per creare inutili piste forestali subito dopo che i volontari del Cai hanno cosparso di lungimiranti visioni i sentieri con il loro sudore? Come mai succede che un’eredità immensa, faticosamente e duramente costruita dai montanari di un tempo, sia abbandonata a visioni miopi come quella che dissemina di tralicci dell’alta tensione le montagne intorno a Ceres e Chiaves, dove stupende mulattiere di pietra attendono solo di essere ripercorse dagli amanti dell’escursionismo, che nell’epoca dei social network approdano istantaneamente su queste vallate rimanendone strabiliati? Sembra tutto un mistero questa mancanza di rispetto verso gli antenati dei valligiani – loro sì costruttori di montagne – fino a quando non ti ritrovi a raccontare la gioia dell’ultima salita al Gran Lago d’Unghiasse al negoziante del Comune di Ceres, come ad esempio al titolare del bar, che poi subito dopo ti confessa di non esserci mai andato sebbene l’abbia sempre sognato: «Come faccio a trovare una giornata libera per andare lassù se devo mandare avanti la baracca?». Succede anche dal panettiere, dal giornalaio, dal macellaio, dal meccanico: tutti impegnati 6 giorni su 7 a mandare avanti le loro attività. Questa è una verità tanto semplice quanto incredibile: gli autoctoni non sanno cosa ci sia di bello ed unico a sole due ore di cammino dalla loro bottega! Il passo quindi, verso la giunta comunale che vede piste forestali ricoprire antichi sentieri e tralicci infilzare paesaggi culturali e spirituali di incomparabile bellezza, è davvero breve. Basta questo a spiegare le contraddizioni di un territorio alpino che potrebbe vivere – bene – di turismo tutto l’anno evitando di cacciarsi nella consunta ed autolesionistica ricerca di assistenzialismo, oggi abbigliato da Ue? No, aggiungiamoci anche che questo territorio non è decifrato come bene comune, su cui far fiorire progetti a lungo termine, bensì è “requisito” gelosamente da coloro che vantano interessi particolari, come, ad esempio, quelli dei cacciatori – lobby numericamente insignificante ma potentissima – che vedono minacciata la loro attività da una rete sentieristica sempre più estesa e fruibile: maggior turismo escursionistico sulle “loro” montagne comporta maggior disturbo per la fauna selvatica che dovrebbe così ritirarsi in zone sempre più impervie e meno accessibili (sentieri recuperati nei pressi di Santa Cristina, a pochi minuti di marcia dal comune di Ceres, subito ricoperti dai cacciatori).
Niente di nuovo: in Italia, da Nord a Sud, è il giardinetto privato a vincere sempre e comunque a scapito di interessi più generali e meritevoli di attenzione per la loro potenzialità nel creare sviluppo diffuso, come lo è il turismo escursionistico. Se poi aggiungiamo che le piste forestali a due corsie (la cui filiera del legno non è competitiva rispetto ad altri paesi europei) aiutano i leggendari cacciatori delle Valli di Lanzo – sempre più vecchietti – a decollare dal fondovalle, se pensiamo che anche i fungaioli ne traggono beneficio (sovente coincidono con gli stessi cacciatori), se si scopre che non dispiacciono agli scialpinisti (favoriscono le sgroppate in quota alla ricerca di neve sempre più in esilio verso alti orizzonti), agli istruttori di Nordic Walking… insomma, chi vuole tra i piedi i volontari del Cai che si alzano di domenica alle sei di mattina per raggiungere, con roncola e guanti, sentieri che cercano custodi dei loro paesaggi?
Beppe Leyduan
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