Il referendum dell’1 ottobre 2017 e gli eventi dei mesi successivi hanno messo la Catalunya al centro del dibattito europeo. La Catalunya è una regione segnata da profondi dualismi: tra mare e montagna, tra conservazione e modernità, tra capitalismo avanzato ed economia rurale. È legittimo dunque chiedersi, nel catalanismo e nella prospettiva indipendentista, come sono cambiati, e come si evolveranno, i rapporti tra le molteplici dimensioni territoriali della regione. Per chiarire alcuni aspetti di questa complessità, abbiamo intervistato Enric Mendizabal Riera, professore di geografia all’Universitat Autònoma de Barcelona (Uab). I suoi interessi vanno dalla geografia storica a quella applicata. Negli anni Ottanta ha collaborato alla realizzazione dei primi piani territoriali montani della Catalunya e attualmente fa parte del Grup de Recerca en Àrees de Muntanya i Paisatge della Uab.
Partiamo dunque dalla relazione tra Pirenei catalani e catalanismo: che peso ha avuto l’entroterra pirenaico nella costruzione dell’identità regionale?
Tutte le identità (locali, regionali, statali), hanno uno o più eventi fondatori, collocati in un tempo, o spazio più o meno mitico. Nel caso della Catalunya questo evento è la resistenza dei cristiani nell’VIII secolo all’invasione araba e berbera iniziata nel 711. Nei primi secoli dell’età feudale, nei Pirenei catalani si formarono una serie di contee dove si svilupparono importanti esempi di architettura romanica: chiese, monasteri ed edifici di uso civile. Con il romanticismo, nel XIX secolo, le élite politiche, economiche e culturali recuperarono tutto questo patrimonio di origini alto medievali, rielaborandolo e reinterpretandolo. Di fatto, la Valle de Boí fu dichiarata patrimonio mondiale Unesco nel 2000, mentre una ricerca su 146 richieste, realizzata alla fine del XVIII secolo da Francisco de Zamora su tutte le entità amministrative esistenti in Catalunya, non segnalava alcun edificio di particolare valore architettonico. L’architettura romanica della regione pirenaica, che nel XVIII secolo non aveva alcun valore né interesse per la popolazione, tra XIX e XX secolo si trasformò nel simbolo dell’identità catalana per le élite intellettuali. Così anche l’escursionismo, dalla metà del XIX secolo, è stato uno degli elementi basilari della costruzione di identità nazionale e territoriale in tutta Europa: in Catalunya, le escursioni organizzate dalla fine del XIX secolo per conoscere la regione, guardavano prevalentemente ai Pirenei, che divenne così uno dei simboli territoriali dell’identità catalana.
Questa centralità delle aree montane catalane, ha avuto una traduzione in termini di politiche locali per la tutela delle comunità e delle economie della montagna?
Dalla metà-fine del XIX secolo, furono prevalentemente contadini e operai a preservare la lingua catalana e una certa identità nazionale. Quando la borghesia industriale della Catalunya (ma anche del Paese Basco) realizzò che non poteva ottenere abbastanza benefici dai partiti monarchici spagnoli, né accumulare capitale sufficiente a una reale crescita economica, diede vita a un nuovo partito, la Lliga Regionalista, nel quale l’identità catalana giocava un ruolo essenziale (così come, nel Paese Basco, la stessa borghesia industriale costituì il Partido Nacionalista Vasco). Il nazionalismo borghese catalano nacque nel terrore della rivoluzione operaia; ricordiamo che la classe operaia e le fabbriche erano localizzate nelle principali città, e per questa ragione la Mancomunitat de Catalunya, un organo di governo locale operante tra 1914 e 1923, prima istituzione a riconoscere l’unità territoriale catalana nel Regno di Spagna dal 1714, avviò una politica territoriale di modernizzazione del paese, in particolare delle zone rurali e di montagna; ricordiamo anche che la Mancomunitat fu governata dalla Lliga Regionalista. Durante la seconda repubblica spagnola (1931 – 1939), il governo autonomo catalano, repubblicano e progressista, realizzò un progetto di pianificazione territoriale ispirato dai principi del regional planning inglese, nel quale si proponeva una serie di azioni di sviluppo territoriale per l’intera regione e, ancora, orientate alle aree rurali e di montagna, ispirate sempre da un certo timore per l’ambiente cittadino che non appariva nella mappa generale del piano. Solo con la fase di governo autonomo iniziata nel 1980, retto fino al 2003 dalla borghesia conservatrice, venne approvata la Ley de Alta Montaña del 1983, con la quale si voleva dotare la regione pirenaica di una legislazione che avrebbe permesso a questo territorio di non essere più considerato marginale ed emarginato, proponendo una serie di investimenti infrastrutturali. Nel 2014 venne creata una commissione per analizzare i risultati dei piani territoriali di montagna realizzati dal 1983 e confermare la necessità di attualizzare la legislazione esistente.
È possibile fare una comparazione con altri esempi di politiche per le aree montane dello stato spagnolo?
Nel volume curato da Carmen Delgado Viñas y Juan Ignacio Plaza Gutiérrez (“Territorio y paisaje en las montañas españolas: Estructuras y dinámicas espaciales”, Ediciones de Librería Estvdio, Santander 2012), sono stati analizzati 17 casi di aree montane del nordest spagnolo, nelle regioni delle Asturie, Cantabria, Paese Basco, Castiglia – Leon. Solamente in due di queste aree è presente un programma di politica territoriale e in sette sono attive iniziative pubbliche e/o private di sviluppo. Se si considera che l’articolo 130.2 della Costituzione spagnola del 1978 dichiara che le zone di montagna dovrebbero essere oggetto di un particolare trattamento finalizzato alla modernizzazione e allo sviluppo economico, non sembra che nella maggior parte delle Comunità Autonome si sia avuto lo stesso impegno della Catalunya per lo sviluppo della montagna. Tuttavia, la politica catalana orientata alla montagna è comunque più “di buona volontà” che orientata a politiche reali.
I Pirenei catalani sono anche un confine. È sempre stato così? In che maniera questa posizione è stata oggetto di conflitto e negoziazione per le economie, le culture e le identità che vivono i due versanti della catena?
Per rispondere a questa domanda bisogna tenere a mente due scale socio-territoriali distinte nel tempo: la vita quotidiana e l’orientamento politico di chi deteneva il potere. Rispetto alla vita quotidiana, è difficile pensare ai Pirenei come un limite che separa i versanti nord e sud. Sempre – e con questo intendo dai primi stanziamenti neolitici nella regione – si è sempre avuta una notevole interrelazione tra i due versanti: scambi commerciali, matrimoniali, uso comune delle risorse (pascoli, boschi, miniere). La regione venne interessata dal Trattato dei Pirenei del 7 novembre 1659, che mise fine alla guerra dei Trent’Anni (1618 – 1648) tra la parte francese e i territori governati da Filippo IV di Castiglia (e III d’Aragona), e che definì il passaggio alla Francia del Rossiglione e di Perpignan, così come parte della regione di Cerdaña. Tuttavia, non si interruppe la vita quotidiana comune a entrambi i versanti dei Pirenei catalani.
Altra questione è ciò che gli Stati (la Francia dal 1659 e il Regno di Spagna sorto nel 1714) imposero come politica di controllo territoriale e sociale e che rese più complicata la vita quotidiana comune: l’imposizione linguistica del francese e del castigliano non impedì che la popolazione continuasse a usare il catalano nelle relazioni personali, ma tutta la burocrazia amministrativa parlava francese e spagnolo. E quelle che prima erano relazioni commerciali, divennero contrabbando. Così, mentre nel versante pirenaico orientale catalano si mantenne una forte identità “catalana”, lo Stato francese fu più efficace a convertire l’identità e soprattutto la lingua in qualcosa di residuale.
Nel numero 43 di Zapruder affermi che i Pirenei catalani sono una regione “che non vince”. Quale è stato, ed è oggi, il rapporto tra questa parte della Catalunya e una metropoli globale come Barcellona?
Così come nel capitalismo è sempre presente la lotta di classe, così è anche presente una lotta “dei territori”. E se attualmente la lotta di classe la stanno vincendo i ricchi, come afferma il miliardario Warren Buffet, la lotta tra territori del capitalismo permette che solo alcuni (pochi) vincano. I territori che vincono sono le grandi metropoli e città mondiali (l’“arcipelago” analizzato dal territorialista francese Pierre Veltz), sebbene includano al loro interno grandi numeri di persone che perdono. E i territori che non vincono (nel migliore dei casi) o che perdono proprio sono le zone rurali e di montagna che non sono connesse in maniera equilibrata con le metropoli. In Catalunya, Barcellona e la sua regione metropolitana vincono (insisto, questo non vuol che tutti i suoi abitanti vincano), mentre i Pirenei catalani sono subordinati alle élite politiche ed economiche che abitano nella grande Barcellona (o almeno in parti specifiche di essa). Tornando alla domanda sulla politica catalana per i Pirenei, le infrastrutture di comunicazione sono pensate per far andare la popolazione metropolitana di Barcellona verso i Pirenei, e non per permettere alla popolazione pirenaica di spostarsi con facilità.
Giovanni Pietrangeli