Dario Benetti “I luoghi del vino di Valtellina”, Cooperativa editoriale Quaderni Valtellinesi, Sondrio 2018, 420 pagine, 50 euro
Il libro di Dario Benetti raccoglie i risultati di una ricerca che ha indagato, dal 2010, il rapporto tra paesaggio e vino in Valtellina. Gli scritti dell’autore sono affiancati dai contributi di persone e studiosi di diverse estrazioni: enologi, agronomi, chimici, geologi, progettisti, giuristi, storici, giornalisti e imprenditori. Il tutto si fregia della presentazione del noto giornalista ed esperto di enogastronomia Paolo Massobrio, che sottolinea la vocazione vitivinicola della Valtellina nello stretto rapporto tra vino e luoghi.
L’approccio multidisciplinare appare particolarmente adeguato per descrivere un paesaggio complesso come quello dei terrazzamenti retici, dove significati originari e attuali non possono essere spiegati in modo univoco. Se è vero che l’origine, risalente almeno al medioevo, sta nella specializzazione produttiva di un territorio montano, è pur vero che questa produzione si inserisce storicamente in un sistema più vasto e articolato. Come in altre aree del versante meridionale delle Alpi, l’attività agricola si diversificava in passato in varie produzioni, risultando meno polarizzata rispetto a quella di altre aree alpine. Il demologo svizzero Richard Weiss definiva l’abitante delle Alpi meridionali come un Mehrzweckbauer, che potremmo forse tradurre in contadino “polivalente”. Era un uomo che viveva in simbiosi con l’ambiente e le stagioni, alternando il proprio operato tra viticultura e vinificazione, cerealicoltura e panificazione, allevamento e caseificazione, selvicoltura e piccolo artigianato.
Il libro non manca di mettere in evidenza i legami tra il paesaggio vitato e una dimensione più vasta, come traspare dalla bella sezione della Valtellina disegnata dall’autore, in cui i terrazzamenti alla base del versante soleggiato si inseriscono tra le coltivazioni di fondovalle e i villaggi di mezzacosta, sovrastati dai maggenghi e dagli alpeggi. È un sistema in cui tutto si tiene e che costituisce ancora un insegnamento per la nostra contemporaneità, dove le specializzazioni procedono invece per comparti stagni, divenendo degli specialismi.
Ma dal libro emerge anche il fatto che gli aspetti economici e produttivi, in un paesaggio, non possono essere scissi dai valori simbolici e rappresentativi. Con la costruzione dei terrazzamenti, le popolazioni non elaboravano soltanto un ingegnoso sistema per guadagnare suolo coltivabile, ma segnavano anche l’appartenenza a un territorio, palesando gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana. Erano dunque fondamentali, sottolinea Benetti, “i nomi delle cose”. Così a ogni area coltivata era assegnata una denominazione, che orientava l’uomo nello spazio e riconosceva le qualità dei luoghi. Il libro restituisce il giusto valore a quest’uso, e per ciascuna delle zone storiche (Grumello, Inferno, Sassella, Valgella) riporta interessantissime mappe con i toponimi delle micro aree interne, frutto di un intenso lavoro di ricerca sul campo.
Significativamente, da luoghi cui era attribuito valore fuoriusciva una produzione di qualità, e storicamente i vini di Valtellina hanno infatti goduto di una chiara fama. Tuttavia, si racconta nel libro, nella seconda metà del Novecento la qualità dei vini di Valtellina si era un po’ affievolita, avendo puntato di più sulla quantità. Negli anni Ottanta, in particolare, da alcune cantine valtellinesi uscivano bottiglioni di vino da tavola che mischiavano uve locali con vini da taglio. In questo periodo anche il paesaggio si era ampiamente svalutato, soffrendo dell’abbandono e della pressione edilizia. A partire dagli anni Novanta si è invece investito sulla qualità, tornando a puntare sulla produzione dello storico Nebbiolo di montagna, localmente chiamato Chiavennasca. La zone di produzione riconosciute sono state negli ultimi anni ampliate, e tra quelle del Valtellina Superiore è stata introdotta nel 2002 la Maroggia. Il paesaggio vitato della Valtellina ha risentito positivamente di questa inversione, perché a un vino di qualità corrisponde spesso un paesaggio di qualità.
Purtroppo non si può dire lo stesso di altri paesaggi valtellinesi, specie di fondovalle, che si affiancano a quelli del vino, guastandone l’armonia. Qui le logiche del consumo e del profitto immediato hanno prevalso. Forse, anche in questi casi, una maggiore attenzione per la qualità di quello che si produce, nella relazione tra uomo e natura, potrebbe aiutare. In tal senso, i luoghi del vino di Valtellina possono essere davvero un modello.
Giacomo Menini
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