«Tre giorni di pioggia torrenziale, e avviene il disastro. I torrenti di montagna impazziscono, l’acqua scivola come su uno specchio inclinato verso la pianura, i fiumi non solo escono dagli argini, ma con la forza d’urto che accumulano portano via tutto quello che incontrano, feriscono la gente e le colline […] Era scontato che a pagare l’abbandono della montagna fosse anche la pianura. Anzi, soprattutto la pianura. Aver trasformato con superficialità migliaia di montanari, di specialisti nella manutenzione del territorio, in operai generici, è stato un errore imperdonabile».
Nuto Revelli nel suo articolo I montanari perduti del 7 novembre 1994, nella prima pagina de La Stampa, evidenzia la natura del legame tra montanari e montagna e ne ricorda il prezzo della rottura, descritto nel principale titolo del quotidiano: Un inferno d’acqua, cento morti. Piemonte sconvolto, città isolate, migliaia di senzatetto.
La Stampa, 8 novembre 1994, pagina 22, tra le lettere al direttore ce n’è una che contesta aspramente questa tesi:
«Perché in Italia, per fortuna, nessuno ha emulato Stalin e le sue migrazioni di massa coatte: i montanari a lavorare in pianura e nelle fabbriche ci sono andati per libera volontà loro, appena hanno potuto. Io non mi sento di dare loro torto, perché non erano “specialisti nella manutenzione del territorio”, come dice l’articolo, ma perché lassù vivevano di stenti e morivano di fame».
In montagna si viveva di stenti e si moriva di fame mentre in pianura e in fabbrica si guadagnava bene. Era una stupidaggine da “comunisti” lasciare i montanari nei loro paesi: la montagna non era che l’osso da abbandonare a favore della polpa, come diceva Manlio Rossi-Doria negli anni ’50 del ‘900, declinazione politico-economica del concetto del 1949 dello storico Fernand Braudel: «la montagne […] une fabrique d’hommes à l’usage d’autrui».
Lo spopolamento della montagna era una necessità della storia divenuta necessità politica in Italia alla fine degli anni ’50 con Rossi-Doria, una necessità affermata definitivamente nella Repubblica Italiana, oggi, con le “aree interne” nelle quali le montagne, in quanto tali, non esistono.
Eppure nella prima metà del ’900 alcune tra le menti più brillanti della politica e dell’università italiana avevano cercato e, soprattutto, erano riuscite a imporre nelle leggi, nella Costituzione e quindi anche nella politica, l’esigenza di conservare e proteggere il legame affermato da Revelli.
Sono state vittorie inutili? Sì, se nessuno le ricorda.
Quelle vittorie potrebbero essere ricordate e riproposte oggi, come progetto sociale, politico e istituzionale per la ricostruzione dell’economia nazionale dell’Italia durante e dopo il Covid-19, proprio come lo proposero nel 1947, per ricostruire l’Italia disastrata dalla guerra, i costituenti delle Alpi e degli Appennini, soprattutto del Nord, ma anche del Centro, del Sud e delle pianure.
I costituenti avevano un progetto: quello di una montagna popolata tanto da garantire la salvaguardia dell’economia, delle tradizioni, della cultura, della vita e, non ultimo, dei territori delle comunità delle montagne di tutta l’Italia. La Repubblica, lo stabilisce la Costituzione, ha un dovere verso le “zone montane”, la sua popolazione e il suo territorio, la Repubblica ha un dovere verso gli “specialisti nella manutenzione del territorio” descritti da Revelli, un dovere che oggi è stato, letteralmente, dimenticato.
Le ragioni di questa dimenticanza sono molte e sono soprattutto economiche e politiche dovute, in particolare, al primato delle industrie e delle città della pianura e a una malintesa lezione del meridionalismo, ma vi ha contribuito anche il caso. È stato un travisato bisogno di limpidezza lessicale a modificare il testo originale del secondo comma dell’art. 44 della Costituzione che, invece, i costituenti spagnoli hanno ripreso testualmente per inserire le loro montagne nella loro Costituzione del 1978. Paradossalmente, oggi, è più la Costituzione del Regno di Spagna che quella della Repubblica Italiana a ricordare l’originale progetto dei costituenti italiani.
Per il progetto di ricostruzione di cui oggi l’Italia ha bisogno si dovrebbe quindi guardare anche alla Spagna e soprattutto alla Svizzera, nazioni europee che, come la nostra, hanno voluto la montagna nelle rispettive costituzioni.
La ricerca cui fa riferimento l’articolo è “Bonifica integrale e agricoltura di montagna”, pubblicata in: Accademia nazionale delle Scienze detta dei XL; Dipartimento Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; Consiglio Nazionale delle Ricerche – Dipartimento di Scienze Bio Agroalimentari, Atti del convegno Le fonti archivistiche dell’agricoltura italiana per la ricerca storico-geografica tra Otto e Novecento. Roma, 14-15 maggio 2019, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”-Lettere e Filosofia, Accademia nazionale delle scienze detta dei XL, Scritti e documenti LVIII, Roma 2019, pp. 89-118.
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