di Oscar Gaspari



Raoul Romano, del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), Centro Politiche e Bioeconomia l’ho conosciuto a Roma nel novembre 2023, in un convegno per il centenario della legge forestale di Arrigo Serpieri. Lui segue il Serpieri forestale, io seguo il Serpieri sociologo; nel dicembre 2023 ha presentato il SINFor. Come spiega il sito, SINFor fa conoscere i boschi e il loro utilizzo nelle filiere forestali; si compone di una Carta forestale d’Italia, e di un Database foreste composto da 145 indicatori ambientali e socioeconomici. Prima di questa Carta c’era quella del 1936, voluta dal nostro Serpieri, prima di questo Database foreste c’era il caos. Un disastro di dati e informazioni sparse che si può suddividere (più o meno) equamente tra Stato e regioni italiane.
Ho intervistato Raoul Romano nel gennaio 2024.

Alessandra Stefani, direttore generale dell’economia montana e delle foreste del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, con Raoul Romano. Foto O. Gaspari

Romano è uno dei padri del SINFor: “A differenza di tutti gli Stati dell’Unione Europea (UE), noi non abbiamo fatto quasi niente per conoscere i nostri boschi, fino al Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali del 2018 che all’articolo 15 ha stabilito che l’Italia si dovesse dotare di un sistema informativo statistico armonizzato del settore forestale e delle sue filiere e di una, finalmente nuova, cartografia forestale nazionale”. Poi gli scappa: “Lo abbiamo messo quando abbiamo scritto il Testo Unico (TU)”, perché le leggi le vota il Parlamento ma, a volte, le fanno i tecnici come lui, e continua: “La materia forestale a partire dal 1970 è diventata di competenza delle regioni, ognuna delle quali aveva una propria definizione di bosco, mentre le prescrizioni di massima di polizia forestale erano quelle della legge Serpieri del 1923”. Racconta la storia tutto d’un fiato, non c’è bisogno di fare domande, spiega come deve aver fatto decine di volte, per anni, a dirigenti e politici di turno.

Ricorda le piogge acide degli anni ‘70 e ‘80 del Novecento che danneggiavano i boschi di Est e Nord Europa, il protocollo di Kioto del 1997 e le conseguenti direttive europee sull’ambiente, la prima strategia forestale della UE nel 1998, i finanziamenti UE per il settore del 1992 e poi lo Sviluppo rurale dal 2000 e, per questo, proprio nel 2001, la prima legge italiana che attuava la regionalizzazione forestale avviata nel 1970, il decreto legislativo (d.lgs.) n. 227. Una legge che arrivava tardi, su spinta europea, ma era innovativa, perché anticipava la regionalizzazione promossa dalla Legge costituzionale n. 3 dello stesso anno, però moriva lì,perché non venne sostenuta da nessun politico.

La UE chiedeva all’Italia una programmazione unitaria di indirizzo per le regioni, e nel 2008, quando Romano era consulente dell’Istituto nazionale di economia agraria (Inea, fondato da Serpieri nel 1923), organizzava per il Dipartimento delle politiche europee e internazionali, un tavolo con le regioni e gli stakeholders e pubblicava il primo Programma quadro per il settore forestale (Pqsf) italiano, con un finanziamento di 50 milioni di euro per l’attuazione, previsto dalla Finanziaria del 2009, ma nel 2010 il ministro dell’Economia e delle finanze, Giulio Tremonti, tagliava i finanziamenti e il Pqsf moriva.

Nel 2012, con il Governo Monti, quando era consulente Inea per la segreteria tecnica del ministro Mario Catania, gli viene chiesto di costituire un tavolo della filiera del legno per aggiornare la normativa del settore: “Sono partito e nel 2015 abbiamo costruito un testo partendo da esigenze e necessità che nascevano dal territorio, dalle sovrapposizioni di funzioni e competenze in materia, e da quello che succedeva in Europa”. Il problema, sottolinea Romano, era che quel testo trattava un argomento: “di forte sensibilità sociale e, di conseguenza, non abbiamo mai trovato un supporto politico per portarlo a buon fine”.

Una normativa modello per l’Italia federale 

Il sostegno dalla politica è arrivato grazie a “una congiuntura astrale”. Nel 2017 il Corpo forestale dello Stato viene soppresso, il personale passa ai Carabinieri ma rinasce la Direzione delle foreste ed economia montana nel Ministero dell’agricoltura, chiusa nel 1998, alla cui testa viene messa Alessandra Stefani, già vicecapo del Corpo forestale appena chiuso. Stefani diventa direttore con il ministro Maurizio Martina, e il viceministro Andrea Olivero che viene dalla montagna, da Cuneo, e gli dice: “Sì, questa è una legge importante, la dobbiamo fare”.

Romano racconta di come nel 2017, grazie ad una direttrice competente e determinata, viene ripresa e rinnovata la proposta del 2015, con l’aiuto di esperti forestali come i proff. Alessandro Crosetti di Torino e Davide Pettenella di Padova. Il viceministro fa proprio il nuovo testo e il Governo Gentiloni ottiene la delega dal Parlamento per normare il settore forestale con un Testo Unico delle foreste e delle filiere forestali (TUFF). Ricorda il difficile confronto con le commissioni parlamentari e gli altri ministeri competenti – che erano, oltre a quello dell’agricoltura, l’Ambiente, i Beni culturali, la Semplificazione e l’Economia e finanze – e ancora, non ultimo, l’impegno della Stefani che porta a chiudere il testo nel dicembre 2017, e all’emanazione del TUFF il 3 aprile 2018 (d.lgs. n. 34).

Il TUFF del 2018 è stato coordinato con il Codice del paesaggio del 2004, il Codice ambientale del 2006 e le venti norme regionali in materia forestale; ma si partiva comunque da zero. L’Italia non solo non conosceva la situazione dei propri boschi ma, addirittura, non aveva nemmeno una definizione comune e condivisa di bosco, né di quali dovessero essere le sue caratteristiche.

Romano ricorda: “Abbiamo preso le leggi regionali e ne abbiamo tratto le cose migliori, abbiamo preso le buone prassi amministrative e le abbiamo valorizzate in un unico testo normativo. Un testo che definisce un principio fondamentale per una Repubblica federale, quale può essere definita la nostra: il principio del minimo comune tra tutte le regioni”.

“Il TUFF – continua – si basa su un principio basilare che può essere semplificato così: ‘il forestale deve saper accendere la motosega’, quindi tutte le regioni devono fare in modo che nel proprio territorio il forestale sappia accendere la motosega. Se poi una regione decide che nel proprio territorio il forestale sappia accendere la motosega bendato, o con la pipa in bocca, lo può fare, ma in tutte le regioni il forestale deve saper accendere la motosega!”. È il principio del minimo che è stato utilizzato in tutti i casi possibili, a partire da quello di bosco. Tutte le regioni devono partire da una definizione nazionale minima: nessuna regione può scemare la tutela ma, casomai, aumentarla.

Così il Trentino Alto Adige prevedeva che il bosco, per essere tale, dovesse avere una superficie minima di 500 mq, ma per la Sicilia la superficie minima era di 10.000 mq. Riprendendo quanto già indicato dal d.lgs. 227 del 2001, nel 2018 si è deciso di stabilire una definizione nazionale di bosco minima di 2.000 mq. Così, oggi, nessuna regione può aumentare quella superficie minima di bosco, ma tutte la possono diminuire, per avere più tutela. Quindi la Sicilia è dovuta a scendere a 2.000 mq, mentre il TTAA è rimasto a 500 mq.

Con lo stesso principio si è lavorato anche ai dati e alle statistiche di settore. Le regioni raccoglievano i dati sui propri boschi in modi diversi, con definizioni e unità di misura diverse, l’ISTAT aveva perso il rapporto con il territorio e le uniche informazioni unitarie erano quelle degli inventari forestali del 1985, del 2005 e del 2015, di competenza del CFS prima e dei Carabinieri forestali oggi.

Il SINFor nasce su queste basi: per coordinare e armonizzare tutte le informazioni già esistenti, sistematizzarle e ripulirle, in modo tale da essere compatibili e avere serie statistiche utilizzabili.

In un passato tutto sommato recente il bosco veniva visto quasi solo come oggetto di produzione (legname da opera e legna da ardere). Dagli anni ’70 in poi il settore forestale comincia a disgregarsi, a partire dalle segherie, l’anello di congiunzione tra bosco e industria, e l’industria ha incominciato ad approvvigionarsi dall’estero, da Croazia, Slovenia, Austria, Romania, molto meno da Africa e Sud America. Si compra molto legname dai paesi vicini, si trasforma e si vende con un valore aggiunto enorme. Dagli anni ’80 in poi utilizzare il bosco per ricavarne legna e legname inizia a costare troppo: per l’appesantimento amministrativo e vincolistico, e per la mancanza di innovazione e viabilità forestale: “Le più grandi strade di viabilità forestale esistenti – afferma Romano – sono quelle fatte durante la prima guerra mondiale”.

Le foreste rappresentano ancora oggi, come ai tempi di Serpieri, un capitale strategico per il Paese. Un capitale economico con indotti occupazionali diversificati e che si arricchisce di nuove funzioni e servizi fondamentali per la società. Per tutelarlo e valorizzarlo serve conoscerlo. SINFor raccoglierà le informazioni che mancano: concorre a migliorare le indagini sul capitale naturale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, completa le indagini Istat per fare in modo che ritorni ad occuparsi del settore forestale in modo coerente e continuativo; collabora con l’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, che raccoglie dati sugli incidenti nel lavoro forestale. Alla raccolta dei dati per SINFor partecipano anche tutti i soggetti industriali del settore: Federlegno, Federforeste, Confcooperative, Assocarta, Assopannelli, RiLegno, con l’obiettivo di conoscere meglio il settore, l’origine e la provenienza del legname e le produzioni dell’industria italiana.

Cos’è il SINFor

SINFor raccoglie i dati in sei Ambiti di indagine che rispondono a sei domande:

  • Patrimonio forestale, il più importante, che risponde alla domanda: “Quanto bosco abbiamo in Italia?” e grazie alla Carta forestale: “Dove si trova?”;
  • Programmazione e pianificazione forestale, “Cosa fare di un bosco da qui a dieci, venti e trent’anni?;
  • Gestione forestale, “Quanto bosco viene effettivamente utilizzato?”;
  • Tutela e conservazione delle foreste, “Come stanno le nostre foreste e quanti dove sono gli habitat, i parchi, i boschi monumentali, i boschi vetusti?”;
  • Bioeconomia, “Quali sono le filiere produttive ambientali e sociali che nascono dal bosco, e che valore economico riescono a sviluppare in termini occupazionali?”;
  • Risorse finanziarie, “Chi finanzia e quanto, come e dove viene effettivamente speso da regioni, Stato e UE per i boschi?”.

SINFor oggi è completo al 40-60%, entro la fine dell’anno lo sarà al 70%: “In tre, quattro anni – dice Romano – raggiungeremo il 100% e dopo aver armonizzato e sistematizzato i dati esistenti saremo in grado di pensare a nuovi indicatori. Presto potremo comprendere meglio certe dinamiche e affrontarle con dati utili a costruire politiche e programmazioni efficaci. Per esempio, non solo capiremo meglio e avremo contezza dei danni ambientali che il cambiamento climatico sta producendo, ma anche del suo impatto su economie e comunità della montagna, che vivono ancora nel e del bosco”. Romano poi ricorda un principio basilare: “Conoscere è alla base di qualsiasi politica e l’obiettivo principale di SINFor è il risorgimento del sistema forestale italiano. Secondo me, Serpieri ne sarebbe orgoglioso”.

Dopo aver parlato di SINFor, Raul Romano conclude con una riflessione di ordine culturale che è propria di un discepolo di Serpieri, inizia con un aneddoto: “I colleghi del Corpo forestale mi raccontavano che la chiamata più frequente al numero di emergenza, il 1515, non era per gli incendi, ma per allertare che: ‘C’è un uomo con la motosega! Presto, venite!!!’. La sensibilità sociale ai temi ambientali portata all’estremo pone un serio problema culturale. Ci siamo dimenticati che l’uomo non può fare a meno del bosco e che un albero e un bosco, come l’uomo, nascono, crescono, diventano maturi e muoiono. Non sono immortali, e senza l’uomo e senza una gestione razionale e sostenibile, migliaia di ettari di foreste possono sparire in cinque minuti, come è successo con la tempesta VAIA nel 2018, e come succede tutte le estati con gli incendi. L’uomo può contenere gli impatti di questi eventi. È indispensabile superare il concetto del vincolo al non fare, e ritornare a quello del vincolo Serpieri cioè al fare bene. Serpieri diceva ai montanari: ‘Se volete sopravvivere in montagna dovete fare così’ non diceva ‘Voi non dovete fare così punto e basta”.

Contro il bosco secondo Walt Disney

Romano denuncia la visione disneyana del mondo forestale: “Un mondo idilliaco dove i cerbiatti cantano con gli uccellini, quella visione infantile della natura è diventata cultura… ma poi a tutti piace il legno: il parquet, le finestre, il tavolo, la cucina, l’armadio di legno. Serve legna per il camino, per la carta, per gli imballaggi, ecc., ma non si vogliono però tagliare alberi, e si crede che il bosco, debba essere lasciato alla sua evoluzione naturale, come se i boschi delle nostre montagne fossero quelli della foresta amazzonica! Ma i nostri boschi sono gestiti da almeno 9.000 anni. Il castagno non c’era in Italia, è stato introdotto dai romani, così i cipressi e tante altre specie. Ancora oggi quando si entra in un bosco ci si può rendere conto di come sia stato gestito, coltivato, in modo da ottenere prodotti che erano funzionali al momento storico e alla necessità contingente: legname per le navi, per i solai di case e chiese, fascine per il camino e per la cucina. Quel bosco ceduo che oggi è visto come il male assoluto è stato ed è fondamentale per l’Italia. I pali del telefono erano di castagno, solo negli anni ’80 sono diventati di cemento, e quei pali venivano dai cedui. Quel bosco ceduo che ha garantito per secoli l’assetto idrogeologico dei pendii più scoscesi”.

“Nei nostri boschi abbiamo molti habitat di importanza comunitaria che spesso sono frutto dell’interazione secolare uomo/bosco: habitat custoditi negli ecotoni (zona di transizione, e di tensione, fra due o più comunità biologiche diverse, n.d.r.) bosco-pascolo, bosco agricoltura, nel pascolo arborato, nelle abetine pure nell’Appennino, nelle faggete per il carbone, nei castagneti da frutto e da legna, nei cedui di carpino e querce, ecc. Habitat che spariscono se finisce l’attività umana, perché il bosco si riprende gli spazi che l’uomo gli ha tolto. Così per esempio, in Piemonte nell’ambito di un progetto LIFE, per ripristinare un habitat su prati-pascoli ormai abbandonati, per far tornare l’orchidea simbolo di quell’habitat hanno dovuto segare gli ontani .

Il bosco italiano è un bosco che ha fortemente bisogno dell’uomo, perché dove non c’è più l’uomo, dove l’uomo non interagisce più, il bosco evolve, invecchia e diventa vulnerabile e prima o poi sparisce, per poi rinascere certo, ma da zero. Nel frattempo, e per decenni, per secoli, il bosco non c’è più. L’uomo può far sì che l’impatto di questi eventi sia ridotto il più possibile, gestendo la crescita e lo sviluppo del bosco, proteggendolo ma allo stesso tempo utilizzandolo, senza che il bosco scompaia: Ricordiamoci che il legno è fondamentale nella lotta al cambiamento climatico e per ridurre e le emissioni climalteranti; utilizzare legno è poi il metodo più naturale di stoccaggio dell’anidride carbonica”.

La conclusione di Romano è un richiamo all’importanza della conoscenza della storia rispetto a un’attualità alla Walt Disney che si crede l’unica possibile: “Dobbiamo recuperare il concetto del fare bene di Serpieri, in un contesto storico e sociale completamente rivoluzionato, perché oggi il bosco non è più solo oggetto produttivo, ma soggetto di sviluppo anche culturale, ambientale, sanitario, proprio come è sempre stato dalla notte dei tempi”.