di Beppe Dematteis
Credo che un governo efficace dei territori montani dovrebbe articolarsi su più livelli territoriali: da quello locale prevalentemente rurale, a quello “di valle” corrispondente ai retroterra di città piccole e medie, per arrivare infine al livello delle città metropolitane. Per metromontagna si intende appunto un territorio montano corrispondente alla rete di relazioni che legano tra loro fra questi tre livelli. Poiché essi in Italia sono ovunque presenti, possiamo dire che da noi tutta la montagna è già, almeno potenzialmente, metromontagna. Ma perché funzioni come tale occorrerebbe un governo metromontano che faccia leva sui legami di interdipendenza già esistenti tra i diversi livelli. Com’è noto questi legami sono dovuti alle complementarietà tra città e montagna, per cui l’una dà all’altra quello che ha e riceve quello che le manca. In particolare le città offrono alla montagna servizi e opportunità di occupazione e ricevono dalla montagna risorse derivanti dalla gestione di servizi eco sistemici, come la cura degli assetti idro-geologici, l’approvvigionamento idrico, i prodotti agro-alimentari e forestali, la fruizione ambientale, paesaggistica, sportiva e ricreativa. Il libro L’interscambio Montagna Città, pubblicato qualche anno fa dall’editore Franco Angeli a cura della nostra Associazione, documenta queste relazioni di interdipendenza nel caso del sistema metromontano di Torino.
No a nuovi livelli di gerarchia territoriale
Per governare la metromontagna non serve istituire un nuovo livello della gerarchia territoriale amministrativa. Dio ce ne guardi. Basta che nelle leggi nazionali e regionali si tenga presente l’esistenza di sistemi metromontani così articolati, in modo da farne oggetto di politiche e provvedimenti specifici di ogni livello. L’obiettivo è di rafforzare e rendere efficiente la catena di interdipendenze già atto o potenziali, in modo che anche il più remoto abitante o imprenditore della montagna possa arrivare fruire dei servizi di cui ha bisogno fino al livello metropolitano e, reciprocamente, chi abita e lavora nei centri urbani e metropolitani possa fruire di tutta la gamma di servizi ecosistemici della montagna. Quindi il governo metromontano esclude un rapporto diretto dal livello nazionale a quello dei Comuni, specialmente per quanto riguarda la distribuzione di risorse finanziarie pro capite, che si riduce a una forma di cattivo assistenzialismo se non è filtrata da un livello- intermedio che tenga conto delle reali necessità locali e che sia in grado di gestire queste risorse in modo efficace, sopperendo alle scarse dotazioni di personale tecnico-amministrativo dei Comuni. Si tratta del livello “di valle”, un tempo occupato dalle Comunità montane e che, dopo la loro deprecabile soppressione, dovrebbe funzionare con le Unioni di Comuni, se esse non presentassero le ormai irreparabili deficienze strutturali e di gestione che Dino Matteodo mette bene in evidenza nel suo intervento.
Città allo sbocco
Partendo dalla constatazione che per il governo metromontano la mediazione di questo livello è assolutamente necessaria e che esso corrisponde al retroterra montano di città che fanno da snodo tra la montagna e i centri metropolitani (per esempio in Piemonte: Verbania, Biella, Pinerolo, Cuneo, Mondovì), penso che esso possa essere attivato attraverso forme di cooperazione con città di questo tipo. Oggi gli abitanti di queste città e i loro rappresenti sono sempre più consapevoli delle risorse della montagna e dei vantaggi che possono derivare da una loro gestione reciprocamente vantaggiosa. Secondo me occorrerebbe provare a rendere stabile questa gestione comune, ricorrendo a strumenti di programmazione negoziata come ad esempio i Patti Territoriali, previsti dalla legge nazionale 662/1966, basati su accordi tra attori pubblici e privati rivolti a raggiungere obiettivi di comune interesse. Possiamo imparare dalla Francia, dove il Comité interministeriel aux ruralitées gestisce dal 2015 i Contrats de réciprocité ville-campagne, che prevedono anche una versione ville-montagne. Ad esempio il contratto tra Montpellier e la montagna dell’Aut Languedoc, partendo dalla constatazione che già esistono relazioni di reciprocità fra i due territori, si propone di “costituire un processo di collaborazione più formale e riproducibile affinché questi tipi di collaborazione si generalizzino” e inoltre prevede di “accompagnare la sua traduzione in azioni concrete di partenariato”.