Di Beatrice Citterio

Nel 2019, quattro anni dopo Expo Milano 2015 e due anni prima dei Mondiali di Sci Cortina 2021, Milano e Cortina vincono le Olimpiadi Invernali 2026, insieme a Bormio, Livigno, Predazzo, Tesero, Anterselva/Antholz e Verona: due regioni (Lombardia e Veneto) e due province autonome (Trento e Bolzano).

Questa “diffusione geografica”, secondo la delegazione e secondo il CIO (Comitato Olimpico Internazionale), conferirebbe ulteriore “sostenibilità̀” all’evento facilitando l’utilizzo di strutture sportive preesistenti, ignorando una serie di gravi problemi di collegamento e trasporto che impattano da sempre sulle zone alpine italiane.

Nonostante le premesse “green” che battezzano i Giochi 2026 come “i più̀ sostenibili di sempre”, un avvenimento di queste dimensioni necessita di una pianificazione quasi decennale di opere (principalmente infrastrutture stradali e sportive) per un evento della durata di circa tre settimane. Nella candidatura, gli elementi costitutivi dei giochi risultano la “sostenibilità̀ economica, sociale e ambientale, inclusione e innovazione”, con una particolare attenzione ai territori e alle popolazioni – alle quali però, sia in città che in montagna, non è mai stato chiesto alcun parere in merito. Una domanda importante da porsi è quindi: che tipo di ricadute sociali e ambientali hanno i Giochi Olimpici al di là delle stime economiche?

Dal punto di vista della costruzione delle infrastrutture i mega eventi come le Olimpiadi, Expo, o addirittura il Giubileo di Roma 2024/25, hanno il potere – per legge e in nome dell’urgenza che li caratterizza – di accelerare, comprimere, e facilitare i processi decisionali, “bypassando” step di progettazione e di verifica ambientale. Qualche mese fa, sotto la richiesta stringente di associazioni locali e nazionali, le opere pubbliche ufficiali e il loro andamento sono state riportate online da Simico (Società̀ Infrastrutture Milano Cortina 2020 – 2026 ), realtà nata proprio per l’attuazione delle infrastrutture. Le opere risultano 100, per un investimento totale – si legge – di quasi 6 miliardi di euro, in maggior parte pubblici. Le opere sono divise in quelle che serviranno per l’evento (pista da bob, stadio del ghiaccio, villaggi olimpici, piste da sci, impianti a fune, parcheggi interrati, strutture per ospitalità̀… ) e quelle che fungeranno da “legacy”, e che quindi – come confermato da poco dalle autorità – potranno essere terminate anche svariati anni dopo le Olimpiadi (varianti stradali, ponti, impianti sportivi secondari, investimenti del terzo settore).

A Milano, la “riqualificazione” dello Scalo di Porta Romana con la costruzione del Villaggio Olimpico a cura di COIMA, realtà leader nell’investimento in patrimoni immobiliari, ha già determinato un aumento del 40% del valore immobiliare del quartiere Porta Romana e limitrofi, accelerando e inserendosi in un processo di gentrificazione che nel giro di pochi anni ha causato sfratti, chiusure e aumento del costo della vita in una parte di Milano storicamente popolare. Sugli slogan affissi sui cantieri troviamo scritto: “un quartiere che ripensa il suo futuro”, “un quartiere più vivibile, sostenibile”, “qui sorgerà la tua nuova casa”. Ma un processo di “riqualificazione” che non colma i vuoti di servizi e assistenza alla popolazione locale, rivolgendosi fin dal principio a clienti ed investitori esogeni ai quartieri non è altro che speculazione.

Tornando alla pianificazione delle opere olimpiche, un elemento di sostenibilità è poi incentrato sulla possibilità̀ di dar loro un secondo uso dopo i giochi, cosa che spesso, nelle edizioni passate, non è successa. In questo senso va sottolineato come gli investimenti sul Villaggio Olimpico di Milano, successivamente adattato a studentato più̀ grande d’Italia, dovrebbero aiutare a tamponare la grave mancanza di alloggi a prezzo accessibile per studenti: purtroppo però, nonostante l’amministrazione annunci costi del 25% sotto ai prezzi medi di mercato, una stanza singola verrà a costare fino a mille euro.

Investimenti e speculazioni edilizie – che non costituiscono eventi eccezionali – ma che si addensano in occasione dei grandi eventi – si intersecano inoltre alla malagestione dell’amministrazione dello sport popolare della città: molti centri sportivi pubblici, chiusi e abbandonati da anni, riaprono trasformati in centri di lusso o strutture private. È quello che è già successo per i Bagni Misteriosi, che succederà per il Lido di Milano e che si minaccia di fare per la piscina Scarioni, attualmente occupata dalla rete solidale Ci Siamo contro la carenza abitativa di Milano.

Allo stesso modo, a Cortina, la piscina comunale è chiusa da 12 anni e il terreno dell’ex stazione, unico luogo di ritrovo del paese con superficie adatta allo svolgimento di eventi popolari, è stato svenduto a un privato per la realizzazione di appartamenti e locali wellness. La popolazione ampezzana, esclusa da queste importanti decisioni, si è mobilitata per far ricorso accusando il Comune di svendere Cortina al migliore offerente, senza attenzione a chi ci vive e lavora. Sempre a Cortina si trova l’ormai famoso caso di accanimento infrastrutturale, ambientale e sociale della pista da Bob, Skeleton e Slittino, attualmente in costruzione al posto di un bosco di larici quando lo stesso impianto si poteva trovare a Innsbruck o St. Moritz. In questo caso, l’argomentazione principale dell’opposizione è che, considerati i futuri climatici a cui andiamo incontro, investire oltre 118 milioni di fondi pubblici su un’infrastruttura stagionale non sia una strategia lungimirante. La stessa critica viene mossa agli investimenti milionari che ogni anno dalle casse pubbliche vengono destinati all’industria della neve, che le olimpiadi invernali sostengono.

Per quanto riguarda invece la rinomata “mobilità sostenibile”, le varianti stradali in galleria progettate per bypassare i centri abitati della valle di Cortina o in Val Pusteria, così come gli interventi stradali in Valtellina, nella pianura lombarda o nelle province autonome, sono ancora in cantiere, e ancora ci si chiede se davvero risolveranno i problemi di congestione per cui son state pensate. Mentre le valli alpine e le pianure continuano ad essere perennemente congestionate e i collegamenti ferroviari insufficienti, si continuano ad investire miliardi di euro sull’apparato stradale italiano invece che sbilanciarsi apertamente sulla mobilità pubblica.

In definitiva, pare che il progetto olimpico non vada tanto in direzione di uno sviluppo economico, sociale e ambientale sostenibile delle valli e delle città coinvolte. Associare il termine sostenibilità ad un evento di queste dimensioni è sicuramente inconcepibile e l’evento è di per sé – con le modalità attuali – poco desiderabile, ma una pianificazione territoriale inclusiva delle popolazioni locali e attenta ai bisogni reali di chi vive questi territori avrebbe permesso, almeno in parte, di utilizzare le enormi risorse olimpiche in modo più coerente.

Questo articolo è il primo di una lunga serie di analisi critiche dell’impatto dei Giochi Olimpici 2026 nelle zone montane e in città, data la spesso ignorata connessione e interdipendenza che lega due territori così diversi.

Stay tuned!

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