Bruna Peyrot, Massimo Gnone, Gianavello, bandito valdese, Claudiana, Torino 2017, 200 pagine, 14,90 euro.

Non è facile scrivere di un eroe valligiano come Giosuè Gianavello (1617-1690), il grande condottiero di Rorà, oggetto di studio della storiografia valdese e oggetto di esaltazione dell’immaginazione popolare, e anche protagonista di canzoni, leggende, iconografie e agiografie varie. Quando il mito si posa così pesantemente sulla storia è sempre complicato districare la matassa, distinguendo tra i documenti e le favole, anche perché in alcuni casi – e Gianavello è uno di questi – la fantasia ha colorato così efficacemente le figure che ogni strappo può essere vissuto come un tradimento.
Bruna Peyrot e Massimo Gnone integrano alcune fonti storiche e soprattutto raccontano, ripercorrendo la vicenda di questo “eroe, bandito, ribelle e credente” con uno stile molto personale, riuscita sovrapposizione di narrazione e saggio storico, introducendo nel “romanzo” di Gianavello gli elementi necessari per comprenderne l’evoluzione umana e strategica e seguirne la straordinaria crescita da contadino a capo popolo, strenuo difensore delle popolazioni valdesi durante gli anni di maggiore crudeltà persecutoria da parte dei cattolicissimi Savoia. Con l’esilio di Giosuè in Svizzera, la figura del ribelle di Rorà diventa così importante da costituire moneta di scambio per un’effimera pace, prima che un altro condottiero valdese, Henri Arnaud, guidi il “glorioso rimpatrio” nella Valli. Il libro consente al lettore di avvicinarsi alla vicenda umana e sociale dei valdesi, ma anche di entrare nella complessa dialettica della dottrina teologica, splendidamente incarnata da questi montanari dediti alla terra e a Dio, in egual misura.
Enrico Camanni