Pensando al modo in cui un corso d’acqua “lavora” in termini geomorfologici, ovvero modella il paesaggio, è evidente come esso possa essere paragonato ad un nastro trasportatore che prende in carico sedimenti e legname dalle aree montane e li trasporta verso valle alle aree di pianura ed infine alla foce, plasmando le forme del rilievo terrestre (Kondolf, G.M., Geomorphic and environmental effects of instream gravel mining. Landscape and Urban Planning, 1994). La continuità longitudinale di processi e di forme che caratterizza il funzionamento del sistema morfogenetico fluviale connette porzioni di territorio anche molto distanti tra loro ed è associata non solo a ciascuna singola asta fluviale, bensì alla complessiva trama di aste fluviali che confluiscono l’una nell’altra fino ad unirsi tutte a quella principale, drenando così una regione, ovvero il bacino idrografico.
La morfologia e la dinamica di un corso d’acqua dipendono da: variabili guida (disponibilità di sedimento e portate liquide) e condizioni al contorno (assetto fisico delle valli, vegetazione perifluviale, caratteristiche sedimentarie). La loro variazione generalmente innesca risposte idromorfologiche più o meno intense ed estese in termini spaziali e temporali in funzione dell’entità della variazione stessa.
Le escavazioni di sedimenti dagli alvei, per esempio, massicciamente effettuate nella seconda metà del XX secolo lungo i corsi d’acqua italiani per fini produttivi, hanno causato l’impoverimento del “nastro trasportatore” e sono state riconosciute come la principale causa dell’abbassamento generalizzato degli alvei. Allo stesso modo, opere puntuali come le dighe spesso innescano processi di aggradazione e di incisione dell’alveo rispettivamente a monte e a valle, a fronte dell’interruzione del “nastro” attuata dall’opera stessa. In termini di difesa dalle alluvioni la costruzione di un argine può ridurre la pericolosità localmente, spostando però il problema a valle. La costruzione di una difesa spondale, infine, può fermare l’erosione laterale alla scala del sito, ma può anche innescare processi di instabilità altrove.
Autorità di bacino
Alla luce di quanto esposto appare evidente che la scala spaziale appropriata per l’implementazione di adeguate strategie gestionali lungo i corsi d’acqua, ovvero per la significativa valutazione della complessità del sistema, sia quella del bacino idrografico.
La legge n. 183 del 18 maggio 1989 ha per prima individuato nel bacino idrografico l’unità di riferimento per la gestione del territorio, considerando “i bacini medesimi come ecosistemi unitari” e istituendo per il loro governo le Autorità di Bacino, oggi Autorità di Bacino Distrettuali. Con il passare del tempo, tuttavia, questi enti di area vasta si stanno di fatto progressivamente esautorando, a favore di un approccio gestionale maggiormente legato a specifici territori, nonostante sia ben chiaro che il “nastro trasportatore” non conosce confini amministrativi. L’unitarietà del bacino idrografico infatti costituisce “il fondamento della difesa del suolo perché giustamente stabilisce la prevalenza dei limiti geomorfologici ed idrogeologici su quelli amministrativi. […] Si tratta di una prevalenza essenziale per una adeguata pianificazione e gestione di bacino, soprattutto perché solo in questo modo si supera la tradizionale tendenza a “scaricare” a valle ogni problema” (Mariotti, E., Iannantuoni, M., Il nuovo diritto ambientale. Maggioli Editore, 2011).
Ciononostante, si interviene ancora negli alvei per realizzare opere ed interventi in assenza di una visione d’insieme su quelle che sono le dinamiche idromorfologiche del corso d’acqua, in un contesto campanilistico e spesso emergenziale. Benché sovente richiesto da enti locali e cittadini, l’approccio gestionale tradizionale al problema della difesa geo-idrologica del territorio, ovvero associato ad interventi puntuali di estrazione di inerti, taglio di vegetazione e difesa, è in realtà privo di qualsiasi fondamento scientifico e la logica economica stessa, ovvero il rapporto costi benefici, è discutibile (Comiti et al., 2011).
I recenti eventi alluvionali che hanno colpito l’Italia Nord-occidentale hanno ancora una volta messo in luce prepotentemente il difficile rapporto che si è instaurato tra i cosiddetti anthropogenic landscapes, cioè gli ambienti antropizzati, e le dinamiche idromorfologiche proprie dei sistemi fluviali. È evidente che la gestione dei fiumi non può consistere solo nella realizzazione di opere (Colombo, A., Filippi, F., La conoscenza delle forme e dei processi fluviali per la gestione dell’assetto morfologico del fiume Po. Biologia Ambientale, 2010) – Comiti, F., Da Canal M., Surian N., Mao L., Picco L., Lenzi M.A., Channel adjustments and vegetation cover dynamics in a large gravel bed river over the last 200 years. Geomorphology, 2011).
Uso del suolo come difesa
Non esiste un criterio unico e sicuro per risolvere le criticità geo-idrologiche di un territorio. Questo perché, da un lato, ogni bacino idrografico rappresenta un caso a sé stante e, dall’altro, non è possibile “risolvere” in senso assoluto le criticità. Quello di “messa in sicurezza” è un concetto irrealistico e ingannevole, dal momento che rimane sempre un certo rischio residuo che non può essere annullato. Nell’ottica della mitigazione del rischio geo-idrologico possono essere attuate misure strutturali e non strutturali, purché siano definite alla scala di bacino. È fondamentale, inoltre, ove possibile, ridare spazio ai corsi d’acqua, ridurre gli elementi esposti al rischio, e creare aree di laminazione diffusa, importanti per la mitigazione del rischio e, nell’ottica della riqualificazione fluviale, per la riconnessione delle pianure agli alvei. Si tratta di attuare “l’uso del suolo come difesa” (Cannata, P.G., Acque, fiumi, pianificazioni dei bacini idrografici: l’uso del suolo come difesa, 2007).
La gestione dello spazio fluviale deve essere inclusa in un più ampio quadro strategico di sviluppo del territorio ed uso del suolo, che mira a ristabilire processi geomorfologici dinamici in grado di promuovere in maniera efficace e sostenibile il recupero dell’ambiente fluviale e la mitigazione del rischio geo-idrologico, con particolare riferimento al perseguimento degli obiettivi comuni delle direttive europee in materia di acque (Direttiva 2000/60/EC) e di alluvioni (Direttiva 2007/60/EC).
Andrea Mandarino, Assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita dell’Università degli Studi di Genova
articolo interessante che inquadra il problema della gestione dei corsi d’acqua con la giusta prospettiva. Grazie!