«Sono nato e vissuto a Torino fino al 1983. In corso Orbassano 276, dove tutte le mattine si sentiva la sirena del primo turno della Fiat, poi il rientro delle due e il turno delle 10. Appartengo a una generazione che ha vissuto sulla sua pelle molte difficoltà, a cavallo tra la fine del movimento studentesco e l’arrivo massiccio delle droghe. Noi del ‘62 non eravamo né carne né pesce. Una parte della mia generazione è sparita, morta tra overdose, Prima linea e incidenti stradali. Quindi per quanto mi riguarda lasciare la città è stata una scelta consapevole». Roberto Vivalda non ha alcuna nostalgia della vita in città. Insieme alla moglie Idana Vignolo oggi porta avanti un laboratorio di panificazione biodinamica con metodo Steiner e tutte le certificazioni del caso a borgata Miloun, Comune di Prarostino, nel territorio della Comunità montana del Pinerolese, in provincia di Torino. Si tratta una tecnica di coltura delle materie prime che cerca di inserirsi al meglio nella natura, rispettando il ciclo delle stagioni e senza uso di prodotti chimici. Una tecnica che risale al filosofo Rudolf Steiner. «Anche la mia scelta è stata consapevole, – spiega Idana – io odiavo Torino. Ho finito il liceo classico D’Azeglio e mi sono trasferita». Oggi la coppia vive in una grossa casa con un antico forno a legna, a 800 metri sul livello del mare. Producono pane, pane integrale e dolci che portano direttamente in negozi specializzati, da Torino a Milano, da Genova a Reggio Emilia. Impiegano sei persone e hanno ben cinque figli. «Per i ragazzi vivere qui è sicuramente positivo – sottolinea Idana. Anche se devi mettere in conto di andare sempre su e giù in automobile. Per loro e per il lavoro».
Una situazione ottimale per l’attività commerciale e la famiglia, anche se non priva di criticità. «Qui la gente è molto chiusa – continua Idana –, diffidano di quelli che vengono da fuori». E finisce che il più delle volte i Vivalda facciano gruppo con gli altri che vengono da fuori, soprattutto con le famiglie che si sono trasferite da Torino. «Poi diamo da lavorare ai marocchini – dice Roberto –, che qui non piacciono proprio». Idana un giorno ha proposto di fare un momento scolastico in cui le comunità straniere, marocchine, rumene e altre che risiedono nel comune, potessero fare delle ricette tipiche da mangiare tutti insieme: «Apriti cielo. Non l’avessi mai detto. Mi hanno quasi tolto il saluto».
In questo senso, secondo Roberto, è un «vantaggio essere nati a Torino, perché questo ti permette di avere una mentalità più aperta. Io mi sento torinese, e non di Prarostino, e come tale, a differenza loro, sono interessato a tutto ciò che viene da fuori. Inoltre il bello di Torino l’ho visto quando sono andato via: andare a vedere concerti, il teatro, la mostra sull’Afghanistan, Palazzo Madama. Torino è una bella città, ma non per viverci».
Maurizio Dematteis