Quando si parla di agricoltura in Alto Adige, solitamente si menzionano le cifre che danno un’idea dell’estensione notevole del melo con i sui circa 18.200 ettari. Anche i vigneti ricoprono una superficie molto vasta e superano ormai abbondantemente i 5.000 ettari. Dal fondovalle della bassa atesina alle zone collinari e montane della Val Venosta, le montagne fanno da cornice alle immense distese di meleti. Questo quadro si ripete in molte vallate del Sudtirolo, ma quando si imbocca la Val Martello, e si entra di fatto nel Parco nazionale dello Stelvio, i pendii si inerpicano ai piedi delle montagne e si scopre una realtà completamente diversa. Qui è la fragola a farla da padrona: si notano gli appezzamenti, tutti rigorosamente recintati, per tenere lontani caprioli e cervi. In Val Martello, infatti, è presente un numero elevato di questi animali, perché il territorio fa parte del parco nazionale. In paese qualcuno ironicamente sostiene che il numero di cervi presenti nella vallata è superiore al numero di abitanti stessi.
Quando si entra in questa valle, ci si rende subito conto che non si è in un posto qualunque: le distese di fragole sui prati più pianeggianti, sui pendii più ripidi, i filari di ribes rosso e lamponeti. E poi ancora campi di radicchio trevigiano e di cavolfiore. E infine, come ultimo arrivato, il ciliegio dolce. La sua introduzione in valle, infatti, risale appena al 2003, quando in diverse zone potenzialmente vocate, furono messe a dimora le prime piante innestate su portinnesti seminanizzanti. La dimensione della valle è molto ridotta, ma la varietà colturale è notevole.
Proseguendo lungo la strada provinciale, si sale inesorabilmente di quota, giungendo rapidamente a 1600 m s.l.m. Qui lo spettacolo è unico: ci troviamo di fronte alle ultime distese di fragole ai piedi del lago e sullo sfondo, sua maestà, il ghiacciaio Cevedale.
Per scoprire l’inizio della fragolicoltura in Val Martello, bisogna tornare indietro di alcuni decenni. Dai primi impianti alla fine degli anni ‘50, la superficie è lentamente aumentata e verso gli inizi degli anni ‘90, con la costituzione della cooperativa agricola ‘Meg’, una decisa impennata ha portato la coltura della fragola alle dimensioni attuali. La tecnica colturale adottata in questa zona è molto semplice e anche questa, nel corso degli anni, si è adeguata e affinata, ma sempre nel rispetto della tutela del territorio, regola fondamentale imposta dal Parco nazionale dello Stelvio. La bontà dei terreni, ricchi di sostanza organica (8-12%), è dovuta in buona parte agli abbondanti e costanti apporti di letame negli anni, quando la zootecnia era al massimo del suo fervore e rappresentava una fonte di reddito sicura. I terreni quindi sono molto fertili, ed esaltano così la coltivazione in pieno campo. L’attenta programmazione degli impianti prevede una scrupolosa rotazione colturale, la quale ha prevenuto fino a oggi l’insorgere di problemi nel reimpianto.
È per questo che, affiancata alla fragola, troviamo una superficie relativamente grande di ortaggi, quali il cavolfiore e il radicchio trevigiano. Il disciplinare di produzione, infatti, prevede per un ciclo di produzione di dieci anni, almeno tre anni di radicchio oppure cavolfiore.
La durata di un impianto di fragole è regolamentata dal protocollo di produzione: se in passato un fragoleto arrivava a produrre da quattro a cinque anni, adesso sono previsti due anni di produzione, ottimizzando così i costi per l’investimento dell’impianto e la produzione di frutti di qualità.
Anche l’insorgere di malattie, dovute all’insediamento di patogeni nelle piante più vecchie, ha convinto i frogolicoltori ad adottare cicli di produzione più brevi.
Grazie all’interesse della cooperativa nella ricerca di nuove varietà e soprattutto grazie all’ottima collaborazione con il gruppo di lavoro ‘liste varietali’, coordinato da Walther Faedi, negli ultimi anni si è lavorato molto per individuare nuove cultivar, adatte alla coltivazione nell’ambiente montano.
Negli ultimi anni, grazie al lavoro svolto dal centro di sperimentazione in collaborazione con i tecnici della cooperativa ‘Meg’, ma soprattutto grazie alla volontà dei soci stessi, è stato possibile migliorare alcuni aspetti della tecnica di produzione. Anche nella scelta varietale nell’immediato futuro potranno essere introdotte cultivar interessanti soprattutto nelle zone limite dell’areale montano.
Massimo Zago – Centro per la sperimentazione agraria e forestale Laimburg