La dimensione urbana dell’abitare si riflette in modo discontinuo sul territorio alpino attraverso fruizioni massivore da parte della popolazione, in relazione ad attività standardizzate spesso collegate ad eventi puntuali (festival, sagre, gare, attività sportive). Dimensione ossimorica rispetto alla desertificazione che interessa, in molti luoghi, gli stessi territori. Questa contrapposizione rende l’immagine, la fruizione e il territorio stesso atopici, affetti da un’interpretazione passiva e sempre più legata a simboli semplificati e predefiniti. Questi simboli sono sottoprodotti della società urbana contemporanea, la prima vera e propria civiltà dello stimolo (visivo e uditivo, soprattutto), legata a una diffusa anestesia dello sguardo interpretativo. Questo aspetto è in gran parte determinato dal fatto che gli spazi pubblici e privati sono oggi costituiti da ambienti caratterizzati da continue possibili esperienze polisensoriali, ramificate in flussi esperienziali alquanto indifferenziati, reiterati nel tempo in modo più o meno ripetitivo.
In linea con gli usi massivori della montagna, le rappresentazioni comuni e più diffuse di questi territori (specialmente quelle pubblicitarie, ma in modo diffuso la gran parte delle immagini di diffusione di massa)  si legano, oggi sempre più spesso, a una curiosità banale e ridondante, definita altrove come pornografica (Dorfles, 2008) di elementi trascurabili della realtà. Essa costituisce solitamente gli elementi chiave per intercettare l’attenzione di fruitori non solo disattenti, ma non consapevoli complici. Questi meccanismi rappresentativi, che partono da raffigurazioni commercializzate e ricadono su fruizioni generalizzate acritiche, di massa, investono anche il territorio. Elemento caratterizzante è una comune ridondanza di segni, in opposizione alla carenza di profondità, significato e complessità di codice: dove oltre al contenuto (il significato) è la modalità espressiva ad essere impoverita da un lato, ed enfatizzata dall’altro, con la produzione di immagini in grado di “colpire rapidamente l’occhio”. Il rischio è che le case di marzapane o di cioccolato del mondo che un tempo era quello delle fiabe diventino reali spazi umanizzati, nuovi non luoghi, junkspaces costruiti sul modello Disneyland (Augé, 1997).
Alberto Di Gioia e Giacomo Chiesa

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