Già quando ne venne annunciata la realizzazione, era evidente ai più che la seconda canna autostradale del Frejus non sarebbe stata semplicemente una galleria di sicurezza ma un raddoppio destinato al transito bidirezionale e quindi una misura atta ad incrementare il numero di transiti di mezzi pesanti al valico. Poco importa che pure la Regione Piemonte avesse a suo tempo dato parere favorevole subordinato al fatto che la galleria dovesse svolgere solo funzione di sicurezza e non di aumento della capacità del traforo. Che nel paese di Pulcinella gli impegni e le regole vengano sistematicamente disattese non è una novità. Così come non sono una novità le contraddizioni della politica dei trasporti del nostro Paese (più che di politica dei trasporti si può parlare di politica delle infrastrutture) che progetta una nuova linea ferroviaria, ma nel frattempo potenzia l’autostrada che gli corre parallela. O ancora l’atteggiamento refrattario da parte di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni rispetto all’introduzione di un qualsiasi strumento regolatore della “domanda” di trasporto su gomma (tassa sul trasporto pesante, euro vignetta, etc.) nel nome della tutela delle imprese, ma a scapito della salute dei cittadini. E’ ipotizzabile che la Sitaf (concessionaria dell’Autostrada A32 Torino-Bardonecchia e del Traforo del Frejus) che ha da poco annunciato, gettando anche l’ultima maschera, 4200 transiti quotidiani nel 2019 quando la seconda galleria sarà aperta al traffico a fronte degli attuali 1800, possa rinunciare così facilmente ad un incremento di pedaggi ed accetti il ritorno all’ipotesi di “canna di sicurezza”? Difficile da immaginare.
Non sarà semplice a questo punto venirne fuori. Tuttavia una possibilità ci sarebbe. Applicare per la prima volta su una direttrice alpina la borsa dei transiti. In cosa consiste? Si tratta di uno strumento basato sui meccanismi di mercato con l’obiettivo di favorire il trasferimento modale. In pratica si fissa un numero massimo di diritti di passaggi per quel valico e tali diritti vengono messi all’asta. Oltre quel numero – da stabilirsi sulla base delle reali capacità di sopportazione non solo dell’infrastruttura ma considerando anche i livelli di inquinamento per le aree attraversate – si oltrepassa il valico con altre modalità, ad esempio sfruttando la capacità ferroviaria esistente (tutt’altro che residuale) della ferrovia. Ovviamente per evitare il traffico di aggiramento attraverso altri valichi (Monte Bianco, Ventimiglia), la procedura andrebbe coordinata con gli altri paesi alpini su tutto l’arco alpino o almeno su tutta una direttrice. Queste misure – dal costo infinitesimo rispetto a quelle necessarie per le nuove infrastrutture – rientrano in quelle misure di politica dei trasporti contenuta nei documenti strategici come il Libro Bianco dell’Unione Europea così come dello stesso Protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi che Italia, Francia ed Unione Europea hanno ratificato e che dovrebbero impegnarsi ad attuare. Si tratterebbe di una soluzione a basso costo e immediatamente realizzabile per rendere il sistema del trasporto più efficiente, per ridurre quei trasporti superflui e gli effetti dannosi per l’ambiente e le popolazioni che vivono lungo le direttrici di transito.
Francesco Pastorelli
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