In Via del Campo “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”; a loro volta, nel Parco del Marguareis, le piante aiutano a trasformare le deiezioni in acqua pulita. Grazie a un progetto europeo Alcotra Italia Francia, di cui l’area protetta è capofila, si è appena chiuso il cantiere del nuovo fitodepuratore che a partire da giugno 2014 depurerà le acque del rifugio Garelli. La fitodepurazione è un sistema di smaltimento naturale delle acque che si basa sul principio di autodepurazione tipico degli ambienti acquatici e delle zone umide, in cui le piante hanno il ruolo fondamentale di creare un habitat idoneo alla crescita della flora batterica, la vera protagonista della depurazione biologica.
«Abbiamo scelto proprio il Garelli, perché volevamo sperimentare la fitodepurazione coinvolgendo un rifugio “vero” – spiega Bruno Gallino, tecnico della conservazione e gestione ambientale del Parco e responsabile del Centro per la Conservazione della Biodiversità ambientale – e per questo rappresentativo: già in quota, con una capienza di 55 persone al giorno e raggiungibile soltanto per sentiero o in elicottero. Il nostro è infatti un progetto pilota – si tratterà del primo fitodepuratore sulle Alpi – la cui ambizione è quella di realizzare un modello esportabile su tutto l’arco alpino». Da buon tecnico, Bruno ha trasferito nel progetto la sua vocazione a fare da ponte fra la ricerca e l’applicazione pratica degli studi. «In effetti il cantiere costituisce soltanto una delle tre azioni previste dal progetto. La prima è un’azione di ricerca e sperimentazione: si è trattato di individuare le specie botaniche locali più idonee a filtrare le acque reflue, per le loro caratteristiche di vegetare nell’umido e su suoli ricchi di sostanze nutrienti. A partire da queste specie, una ventina in tutto, abbiamo ulteriormente ristretto il campo andando a privilegiare quelle che già crescevano nei dintorni del rifugio. Abbiamo quindi sperimentato la coltivazione delle piante, per verificarne la riproducibilità controllata, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia (Dbios) dell’Università di Torino, che si è fatto carico della microgerminazione in vitro delle specie più rare. Il Dbios ha inoltre il compito di sperimentare la micorizzazione delle piante: molte specie in natura sono associate a funghi simbionti che i ricercatori proveranno a inoculare agli esemplari privi di fungo. Si tratta in definitiva di capire quali sono le piante più “efficienti”, in quali condizioni (micorizzate o meno) lavorano meglio e quali delle specie selezionate sono più facilmente coltivabili. Per raccogliere questi dati dovremo monitorare con attenzione il depuratore dalla sua entrata in funzione. Insomma, ce ne sono di cose da fare…». Fra le piante selezionate figurano specie comuni, le cosiddette “piante da giàs”, che spesso si incontrano passando accanto agli alpeggi d’estate, come il Rumex acetosa, l’Epilobium angustifolium, il Lamium album, la Myrrhis odorata, e piante rare come la Menyanthes trifoliata e la Caltha palustris.
La seconda fase del progetto ha visto la realizzazione sul campo di due fitodepuratori: infatti un secondo fitodepuratore entrerà in funzione presso il Lac du Mont Cénis, al servizio di un piccolo centro turistico. «A fine progetto sarà questo secondo inpianto ad aggiudicarsi il titolo di fitodepuratore più alto d’Europa. Entrambi i sistemi utilizzano il sistema detto alla francese, ampiamente diffuso in ambienti di pianura e collinari… ma mai prima d’ora sperimentato in quota». Mentre il fitodepuratore del Lac du Mont Cénis, realizzato dal Sivom de Val Cénis è costituito da un’unica vasca di 180 metri quadri, il fitodepuratore costruito al Garelli si compone di cinque piccole vasche impermeabili, un sifone e una serie di pozzetti, il tutto costruito nel modo meno impattante possibile. «Il primo sifone smista le acque reflue a tre delle cinque vasche, dove l’acqua passa dall’alto verso il basso attraverso tre strati – ghiaia fine e piante, argilla e ghiaia grossa -, per finire in un pozzetto e da lì al filtraggio nelle due vasche sottostanti. A questo punto, dopo la decantazione in due ulteriori pozzetti, l’acqua è pronta a raggiungere il torrente…».
La terza azione del progetto è dedicata alla comunicazione: da un lato si tratta di trasmettere le conoscenze e l’esperienza acquisita agli addetti ai lavori attraverso delle linee guida per la realizzazione e per la gestione dei fitodepuratori in quota, «dall’altro lato si tratta di raggiungere il pubblico generico, che di fitodepurazione non ha nemmeno mai sentito parlare. Abbiamo deciso di farlo non soltanto attraverso degli incontri dedicati, ma anche con una mostra fotografica e soprattutto con un film documentario un po’ speciale… ma per ora non posso dire di più! Quella della fitodepurazione è un’occasione davvero fantastica per comunicare in modo efficace e convincente che cos’è la biodiversità e a che cosa può servire». Il progetto, nato nel 2011 «unendo due passioni personali: la botanica e la tutela dell’acqua pubblica» e avviato il 1° aprile del 2013 si concluderà nel dicembre 2014 con la speranza di aver realizzato i primi due prototipi alpini di un sistema ecologico ed economico destinato a diffondersi.
Irene Borgna
Bellissima iniziativa che verrà seguita con molta curiosità in quanto la fitodepurazione in quota è un’idea che nessuno è mai riuscito a concretizzare 1) per la troppo breve durata del periodo vegetativo delle piante e 2) per la contestuale concomitanza di una grande massa di reflui da trattare nel breve periodo di apertura dei rifugi. Sarà una sfida non da poco e molto interessante. Io abito sule pedici della Bisalta, a Peveragno, a 770 m. di quota ed a 15 km dal rifugio Garelli, ed ho in funzione un impianto di fitodepurazione da 5 anni che funziona egregiamente ma che necessita di adduzioni separate tra acque bianche e nere , degrassatori, ecc. ed una discreta superficie di filtraggio a verde, cosa che normalmente in un rifugio in quota non si riesce a realizzare. Sarò curioso di visitare l’impianto la prossima estate per vedere quali soluzioni tecnologiche e botaniche sono state adottate.
Ciao, bella iniziativa!.
Al rifugio-casera Bosconero a 1500 m circa (Forno di Zoldo – BL) è attivo dal 2006 un impianto di fito di 40 mq ( due vasche da 20). Io lo seguo annualmente per l’aspetto botanico e il controllo della crescita delle piante. Funziona bene e l’Università di Padova gestisce li un progetto di bioenergia (biodigestore, metano, ecc ecc). Prima di realizzarlo abbiamo datto due campagne di test delle piante per scegliere, tra le autoctone, quelle più idonee allo scopo. Sono a disposizione per scambio di idee e info o contatti anche con il gruppo di PD che segue gli aspetti energetici. ciao!