Irene Borgna e Giacomo Pettenati, “Montagna femminile plurale, storie di donne che sono arrivate in alto”, Ebook, Zandegù di Marianna Martino, 2015.
Il tema è presto detto: storie di donne che hanno scelto di tornare, restare o andare a vivere in montagna, sulle Alpi Marittime e Liguri. Lo riassumono gli stessi autori, un giovane geografo e una giovane antropologa, nuova montanara anche lei, sinceramente interessati a scavare nelle ragioni della scelta scartando le facili spiegazioni.
Non è affatto scontato che una persona decida di abitare dove è più scomodo farlo, e per una donna ancora meno, perché la montagna è stereotipo maschile da sempre anche se finisce per a. Essere donna e andare a vivere in montagna, o restarci, o tornarci, è comunque una decisione fuori moda nel paese della centralità urbana, una scelta un po’ vetusta secondo i canoni dell’illusione industriale, oppure modernissima per chi guarda a un mondo nuovo, ridistribuito con saggezza sul territorio. Ogni storia raccolta e raccontata da Borgna e Pettenati è una risposta imperfetta a un sistema deteriorato e complesso, un intransigente tentativo di semplificazione, il lodevole sforzo di immaginare un mondo più umano, tollerante e paziente. Più moderno, appunto.
Una volta erano scelte contro, attualmente sono scelte fuori, in futuro non si può sapere. Ancora no. Senz’altro sono storie di avanguardia anche se rincorrono modelli antichi, talvolta li imitano, altre volte li rinnovano, sempre li rispettano. Si tratta di persone – ragazze e donne mature – che hanno scelto di rischiare, privandosi per avere di più. La tentazione della fuga è di solito preceduta dall’aspirazione a un modello di vita migliore e dall’impegno nel costruirlo. Le motivazioni e gli approcci sono diversi, naturalmente: scelta spontanea, scelta ragionevole, necessità fisica, rivendicazione, riscatto, riequilibrio, casualità, destino… Diversi anche gli sguardi e i linguaggi dei due autori, a dimostrazione che un fenomeno sociale non regge facili generalizzazioni, oggi meno che mai.
Ma non aspettatevi un saggio sociologico, al contrario: le interviste sono ironiche e godibili, sotto il cappello “non prendiamoci troppo sul serio”, e forse era l’unico modo per raccontare le storie di queste “esploratrici” senza giudicarle, sezionarle, disumanizzarle. Perché gli errori sono il sale del cambiamento e chi non sbaglia non si muove mai.
Enrico Camanni