La diffusione di numerosi mezzi d’informazione, nei tempi recenti anche molto supportati da immagini e video, porta all’attenzione dell’opinione pubblica, con notevole frequenza, accadimenti in Italia, ma anche in diverse parti del mondo, legati a fenomeni geologici naturali che coinvolgono, nella loro evoluzione, infrastrutture, urbanizzazioni, e tutte le più varie opere dell’uomo, provocandone il danneggiamento o la distruzione e spesso anche feriti e morti.
Nell’immediata post-calamità è divenuta una costante la comparsa del geologo, figura tecnica che viene ricercata spasmodicamente dal mondo dell’informazione e dei quadri amministrativi e decisionali presso le istituzioni scientifiche o nel campo professionale, quasi per ricevere una sorta di conforto di fronte al disastro avvenuto.
Limone Pimeonte, foto Fabio Luino, CNR – IRPI di Torino.
In quei casi al geologo vengono posti interrogativi che vorrebbero risposte brevi e rassicuranti, o richiesti pareri tecnici immediati, che invece necessiterebbero analisi, rilievi ed osservazioni di terreno, comparazione di dati, studi accurati, per avere garanzia di valenza tecnico-scientifica. Ma, terminata la fase emozionale e dell’emergenza, la struttura politica e tecnico-decisionale della società umana dimentica rapidamente la figura professionale del geologo, gettandosi nel rassicurante ritornello della “rapida ricostruzione” di manufatti e infrastrutture, come pure della “messa in sicurezza” del territorio.
Due locuzioni che soddisfano appieno la popolazione colpita, ma che la cultura geologica abborrisce poiché creano false aspettative, per la seguente serie di ragioni e di motivazioni:
– “mettere in sicurezza” un territorio soggetto a fenomeni intensi e periodici di riattivazione della dinamica fluviale o di versante è sostanzialmente illusorio, proprio perché si tratta di fenomeni che si manifestano per effetto delle leggi di natura, la cui energia non è controllabile dalla forza umana. I tecnici del territorio e la normativa di settore che tratta di pericolosità geologica utilizzano infatti il termine di “mitigazione”, che reca ben chiaro il significato di tentare una riduzione della pericolosità geologica per indurre un rischio compatibile
– vi sono situazioni nelle quali le caratteristiche dei fenomeni, quali energia, intensità, frequenza, dimensione, etc., sono tali da rendere vano qualsiasi intervento antropico in termini tecnici ed economici, anche rapportandolo al valore dei beni esposti, per cui l’unica prospettiva ragionevole rimane quella di un loro trasferimento
– l’uso corretto di terminologia da parte dei decisori politici risulta quanto mai doveroso in tali contesti, al fine di evitare qualsiasi falsa illusione o rassicurazione nei confronti di chi risulta esposto. Al contrario, una coerente e giusta informazione può generare comportamenti consapevoli e responsabili
– la “rapida ricostruzione” si risolve spesso in opere raffazzonate, in carenza di valutazioni complessive, anche per il semplice fatto che “ricostruire” qualcosa che confligge palesemente con il manifestarsi di fenomeni evolutivi naturali non è ragionevole.
Nell’esperienza professionale troppo spesso la figura del geologo, quello competente e libero da condizionamenti, rimane limitata a quelle apparizioni al momento del disastro, restando poi marginale nei tavoli decisionali, dove invece prevalgono i tecnici costruttori, quelli della “rapida sicurezza”. I quali progettano e realizzano interventi, generalmente molto costosi ed appariscenti, che appagano l’opinione pubblica, soddisfano il decisore politico e alimentano tabelle e diagrammi multicolori nei convegni sull’argomento che celebrano l’agire umano.
Paolo Quagliolo