Distanze, isolamento, collegamenti. Pensare a Elva è immediato. Si tratta però di un approccio superficiale, nel mio caso in buona parte fugato dal primo incontro con Franco Baudino, a quel tempo (anni ‘80) sindaco di questo comune “fuori da ogni valle”.
Elva è così, un po’ Maira e un po’ Varaita, lontana però da entrambe. Lontana sì, ma non al punto da impedire ai suoi abitanti di spargersi per ogni dove a raccogliere capelli.
A Elva Franco Baudino è stato artefice di tante cose, nonché uno degli artefici del museo dedicato ai caviè, nella Casa della Meridiana. In questi anni l’ho incontrato a intervalli più o meno regolari durante le mie puntate lassù. Elva d’altronde è una malia, impossibile non tornarci: «A Elva il coronavirus non ha cambiato di molto le abitudini degli abitanti. Per quanto riguarda le provviste alimentari, tutti quanti sono già abituati a scendere a valle ogni quindici, venti giorni. In questa emergenza, gli approvvigionamenti sono garantiti dall’unica bottega del paese. Si prenota per telefono, i gestori scendono a valle, fanno gli acquisti per tutti e poi ogni famiglia va a ritirare la propria spesa secondo l’orario concordato. L’inconveniente maggiore riguarda quanti hanno bisogno di visite mediche e specialistiche urgenti, i quali sono costretti a scendere in città esponendosi al rischio del contagio. Il sindaco, tramite la Protezione Civile, ha fatto sì che ogni famiglia abbia una mascherina con l’invito a indossarla nel caso in cui si debba incontrare qualcuno. Ma la vita a Elva prosegue pressoché identica anche se la preoccupazione di molti riguarda il tremendo contraccolpo che tutta la popolazione del pianeta sarà costretta a subire a causa di questa pandemia. In valle già si sentono le gravi conseguenze nell’ambito turistico-ricettivo e tutti quelli che lavorano in questo settore guardano al futuro con profonda incertezza. C’è da sperare che tutto ciò faccia riflettere l’umanità intera sul modello di vita, un modello consumistico che stava intaccando anche la fruizione delle nostre montagne. Ne è un esempio la corsa di molti abitanti delle città verso le seconde case alpine, mettendo a repentaglio la salute di paesi e borgate, per lo più abitate da anziani. Se c’è una via d’uscita da quello che si prospetta come un disastro di proporzioni mondiali, non può che ricercarsi nella maggiore sostenibilità ambientale di tutte le attività umane. Per fare ciò potrebbe risultare utile e prezioso l’esempio dei nostri padri e di tutte quelle persone che oggi fanno la scelta di vivere in montagna nonostante le difficoltà».
“Scendere a valle a fare le spese”: ora che la via del Vallone è chiusa significa un lungo e tortuoso viaggio per le borgate di Stroppo. Però sono in vista novità: la scorsa estate sono saliti nel Vallone gli studenti di ingegneria del Politecnico di Torino per uno studio finalizzato al transito in sicurezza (info: https://bit.ly/2VHYypW). Si prospetta per la strada del vallone anche lo status di “bene ambientale”.
Sicurezza o meno, al visitatore occasionale il transito per la via del vallone ha sempre creato momenti di ansia. Al contrario, il transito per le borgate di Stroppo consente al turista non frettoloso di apprezzare notevoli occasioni di sosta: il borgo di San Martino, la Chiesa di San Pietro. Uno sguardo prolungato sul Vallone di Marmora con la Rocca La Meja, la montagna del mezzo-giorno.
All’ombra della Meja
Nella Borgata Torello di Marmora vive Monica Colombero, titolare dell’Agriturismo Lou Bià, dove il turismo del camminare trova tempo, spazio e buona ospitalità.
Non è la prima volta che interpello Monica, avevo già approfittato del suo giudizio in occasione dell’anniversario dei Percorsi Occitani: «La montagna ci chiede di continuare a vivere e i montanari come me che vivono da sempre quassù, 365 giorni all’anno, lo fanno. Il “distanziamento sociale” per noi è una costante. Siamo talmente pochi che i vicini non li vediamo per giorni e possiamo continuare ad occuparci dei nostri animali, dei campi, della pulizia dei boschi. La montagna ha sempre richiesto una certa elasticità e talvolta sacrifici. Certo isolamento è una parola che fa paura, ma noi abbiamo vissuto isolamenti invernali da bambini anche per periodi lunghi. Senza luce, senza telefono, sappiamo che si può ripetere. La montagna ha forgiato gente temprata, ciò non toglie che abbiamo paura che il contagio risalga la valle e decimi i pochi abitanti stabili, penalizzi una realtà sociale agli sgoccioli. Paura per i nostri nonni, i nostri vecchi, che sono la nostra memoria. Quelli che si sono rifugiati qui se ne andranno appena tutto sarà finito, come hanno sempre fatto. Ma noi che restiamo abbiamo bisogno di proteggerci. La mia scelta di rimanere in montagna va oltre il fattore economico, ma in quanto titolare di azienda agricola sono privilegiata. Il danno ci sarà, ma posso continuare a lavorare. Per la nostra categoria il turismo è un’integrazione, una buona integrazione, ma non è tutto, le attività basate solo sul turismo sono penalizzate molto di più. Occorre pazienza, tutto ritornerà. Dovremo rivedere le nostre priorità, ma questo blocco planetario sta facendo respirare la Terra. Devo ammetterlo… questo cielo senza aerei è davvero bello!».
Marmora, Monica al lavoro, foto T. Farina
Niente aerei in cielo, e niente elicotteri in Val Thuras
Quando capito d’inverno al Rifugio della Fontana, nel borgo di Thuras, in alta Val di Susa, chiacchierando con Ferruccio e Natalia si finisce quasi sempre lì. L’eliski, dannazione della valle. E anche ora, nell’emergenza pandemica, il riferimento non manca: «In questi strani giorni appaiono come un ricordo lontano i rumori portati dall’uomo-turista durante questo affollato inverno. Da anni cerchiamo di proporre forme di fruizione non dannose, ma purtroppo quest’anno con l’abbondanza di neve in quota l’eliski è andato alla grande. E in certe giornate fra elicotteri in volo ed esercitazioni militari pareva di assistere a una sequenza di Apocalypse now… Ma ora sulle montagne della Val Thuras niente rotori, niente rotazioni. Anche il poligono militare in fondo alla valle è fermo, la caserma abbandonata. Dissolte le orde di turisti auto muniti alla ricerca di parcheggi inesistenti sulle stradine di montagna, come questa strada che sale a Thures. Stradine da pulire con l’impiego di automezzi enormi e ingenti quantità di sabbia e sale che si riversano in ogni prato a bordo strada. Prati in teoria destinati al pascolo e all’agricoltura, ma non più utilizzabili per la presenza di materiale inquinante. Qui a Thures come nelle tante borgate di montagna semi abbandonate, i pochi abitanti proseguono con le attività usuali del dopo inverno, periodo già di norma caratterizzato da un radicale “svuotamento”. La quiete di questi giorni però è estrema. Tuttavia, a differenza del cittadino in questa assurda situazione viviamo il privilegio di poter uscire di casa, affaccendati nei lavori tipici della stagione di mezzo. Possiamo dedicarci alla manutenzione dell’antica grangia… Riflettiamo, ci facciamo domande. E ci chiediamo: è possibile la convivenza fra turismo del camminare e turismo dello sci di pista? Qui, in alta Val di Susa, luogo della montagna attrezzata per antonomasia, la Fontana del Thures è stata a suo tempo una scommessa. E allo tesso tempo un luogo di incontro fra quanti cercano nella montagna un’esperienza più autentica. Le difficoltà ci sono state, e forse non c’è più l’entusiasmo dei primi tempi, ma proprio il grande successo dell’escursionismo su neve di questo passato inverno, è un segnale incoraggiante.
Forse questo tempo sospeso che stiamo vivendo può schiudere prospettive più solide anche per chi come noi crede in un turismo che non consumi la montagna, i suoi paesaggi e le sue risorse. Montagna luogo di benessere vero, sia per chi ha scelto di viverci, sia per chi la frequenta. Con rispetto però, senza fretta. Camminando su neve rigorosamente naturale. Sarà così? Questione di scelte».
Thures, Ferruccio e Natalia con Miro, foto T. Farina
Montagna turistica, montagna vissuta
Giovanni Enzio è contadino in alta Val Sesia. Alagna, gettonata località del freeride. Il Monte Rosa come sfondo, i suoi ghiacciai sofferenti.
È la seconda volta che interpello Giovanni. La volta precedente l’argomento era la strada carrozzabile per il Vallone di Otro. Questione spinosa, una comunità divisa fra contrari e favorevoli. Ma l’emergenza pandemica ha creato concordia: «Qui ad Alagna direi che va meglio di altri posti. Siamo un paese piccolo dove tutti si conoscono. Ci siamo chiusi dentro come da prescrizioni governative. Le mascherine ce le siamo fatte da noi, in corvè, con le lenzuola vecchie, riutilizzabili, lavabili e sterilizzabili, e sono fatte fin meglio di tante “porcheriuole” che si trovano in commercio. Il paese ha manifestato la solidarietà che deve unire nei momenti di difficoltà, ci siamo organizzati per rispondere al meglio alla novità. Abbiamo avuto un modesto contagio prima delle misure di contenimento, quando i turisti si sono affollati qui pensando che la novità fosse una gradita vacanza.
Insomma, facciamo quello che ci hanno ordinato, con serietà.
Per me non è cambiato molto, eremita ero, eremita sono rimasto. Con sorella morte ci avevo fatto amicizia quando sono nato, così oggi ci posso camminare insieme in armonia nella bella passeggiata che è la vita. Mi spiace vedere tanta gente che soffre, e già prima mi spiaceva vedere il pianeta che soffriva per la troppa stupidità umana. Penso che quel che ci è cascato addosso da un giorno all’altro è una amara medicina che Mamma Terra ha dovuto inventare per ristabilire equilibri troppo compromessi. La speranza è che questo dolore ci sappia guidare su percorsi più virtuosi e rispettosi di tutte le creature della catena alla quale anche noi apparteniamo, anche se lo abbiamo dimenticato. Diversamente Mamma Terra deciderà di fare i suoi esperimenti con qualcun altro, e amen. Intanto pianterò patate e altri frutti della terra, e gioirò nel vederli crescere rigogliosi e sani. Mi godrò le giornate di sole quando ci saranno, ringrazierò la pioggia quando vorrà bagnarci, guarderò le nuvole scorrere nel cielo formando disegni sempre nuovi e diversi. Raccoglierò legna per scaldarmi nell’inverno che mi verrà a trovare tra sette mesi come ha sempre fatto. E insieme ai frutti coltiverò buoni pensieri e accetterò la parte che il Grande Regista ogni giorno si inventerà per me e per tutti noi, come ha sempre fatto.
Alegru!».
Alagna, Frazione Goreto, foto T. Farina
Val Soana, siti pittoreschi, squisite trote
[…] valle ignota a quanti non vi hanno interessi diretti, dimenticata nelle antiche carte topografiche, mal descritta nelle nuove, eppure degna di attrarre non solo gli alpinisti, dilettanti di caccia, di botanica di siti pittoreschi, di squisite trote, di tranquillità, ma anche gli ascensionisti amanti delle rupi e dei ghiacci, delle balze e dei ripidi canaloni”.
(Vaccarone e Nigra, Guida delle valli Orco e Soana, 1878).
Carte topografiche a parte (ora ci sono, e pure buone), non è cambiata granché la Val Soana, una delle due valli del versante piemontese del Parco nazionale Gran Paradiso. A Piamprato, la località a quota più elevata, Diego e Laura gestiscono da due anni lo Chalet Rosa dei Monti: «Incontaminata… un aggettivo molto utilizzato per descrivere la montagna. Un aggettivo attraente per la persona alla ricerca di selvaticità e purezza.
In questo periodo, a causa della pandemia, è però un aggettivo che ha assunto un’accezione diversa a causa del suo diretto contrario: “contaminato”. Proprio in antitesi a quest’ultimo termine ora in auge si giocherà infatti una nuova partita: riuscirà la montagna a starne fuori, a rimanere pura? Incontaminata? Da albergatore e ristoratore di montagna, posso dire che non ci credo. Lo testimoniano la montagna dei consumi, del turismo frettoloso, dei weekend mordi e fuggi. La montagna che si è fatta satellite dell’economia urbana. La montagna che è già stata contaminata. Se c’è una montagna che potrà resistere e vincere la partita, sarà grazie ai suoi elementi essenziali e caratterizzanti da sempre: le mucche e le capre, gli orti e i prati, i boschi e i sentieri, i sapori autentici, le persone vere e sincere. Se da questi elementi, i montanari di oggi sapranno trarre nuova saggezza e creare una propria nuova economia, ecco che la montagna tornerà ancora incontaminata.
Sono milanese, vivo e lavoro da 15 anni in Val Soana, un luogo impervio nel cuore delle Alpi Graie. Affacciata sul Canavese di Adriano Olivetti. Posso dire che qui, pur fra tante contraddizioni, ho incontrato molti degli elementi propri di quella che ritengo essere la vera montagna. Elementi che andrebbero potenziati con scelte decise e coerenti per sperare davvero in una “nuova economia alpina”. Quattro forze spirituali e creatrici, ci disse Olivetti, indicano il cammino alla civiltà: Bellezza, Amore, Verità e Giustizia. E allora il mio augurio è questo: che sempre più persone si rivolgano alla Montagna (e alla Natura tutta) alla ricerca di questo tipo di forze e non solo alla ricerca di uno sfogo dallo stress del mondo».
Diego e Laura a Piamprato, foto T. Farina
Nuovi nati in Valle di Cogne
Sono passati solo due mesi da quel lunedì 9 marzo quando apparve sui social l’immagine della ressa al botteghino degli impianti di Gressoney. Due mesi soltanto, ma pare un’era geologica. Un tempo remoto nel quale i turisti erano cercati, blanditi, adescati. Catturati con lusinghe fatte di pendii di neve scintillante, di fumante polenta concia. Poi a Quincinetto (e in molte altre località di fondovalle) si sono alzate barriere. Che tuttavia non hanno impedito al contagio di salire la Vallée.
Dal quel 9 marzo le vie centrali di Champoluc, Valtournenche, Cogne, sono deserte. Come in un piovoso giorno di novembre. Con le piste del Monterosa Sky coperte da abbondante ma “inutile” neve. Negli stessi giorni, in Valle di Cogne, in una silente Valnontey, nasceva Aurora, un piccolo gipeto. Aurora, il nome dell’incrociatore russo che nell’ottobre del 1917 sparò sul palazzo d’inverno. Mi dicono persone bene informate che il gipetino ne è orgoglioso.
Aurora avrà il suo battesimo dell’aria solo a fine giugno. Gli auguriamo trasvolate lunghe e sicure. A causa del lockdown non ho potuto intervistarlo, tuttavia di una cosa sono certo: Aurora ha trascorso i suoi primi giorni in insperata tranquillità.
Toni Farina
Sono intervenuti: da Elva, Franco Baudino (ex sindaco, “rude” montanaro); da Marmora, Monica Colombero (Agriturismo Lou Bia http://www.loubia.it/); da Thures, Ferruccio Colavita e Natalia Castiglioni (Rifugio – Posto Tappa La Fontana del Thures
http://www.rifugiothures.it); da Piamprato, Diego Bianchi e Laura Tempesta
(Hotel Chalet Rosa dei Monti, https://www.facebook.com/chaletrosadeimonti); da Alagna, Giovanni Enzio, contadino (Orto delle Piane, Agricoltura naturale https://popilen.blogspot.com); da Cogne, Aurora (Piccolo gipeto tranquillo).