L’ecomuseo nasce in Francia con l’obiettivo di rendere giustizia alla storia, alle tradizioni e alla cultura di un luogo, collezionando frammenti di un patrimonio e mettendoli a disposizione dell’intera società. La sua caratteristica principale è che non ha bisogno di mura che lo delimitino, è un museo speciale che tutela ed esalta il patrimonio di un territorio nel suo complesso mirando a cogliere non solo l’aspetto più visibile come l’ambiente naturale di un luogo, ma andando a svelarne l’essenza. Un ecomuseo nasce “dal basso”, ossia si realizza là dove c’è una comunità che ha voglia di proteggere la storia del proprio luogo, non impedendo al mondo di goderne ma guidando chi lo desidera a scoprirne i tesori senza rovinarli. Tale obiettivo si realizza tramite una cooperazione tra attori volontari, enti associativi, figure professionali e soggetti pubblici e privati che lavorano assieme per dare valore al patrimonio culturale.
Questa forma di museo risulta oggi sempre più apprezzata, anche in Italia, grazie ai cambiamenti che investono la società ed in particolare il mondo del turismo. “La vacanza” si è infatti trasformata: da momento rigenerativo e di distacco dalla vita quotidiana, a pratica interattiva attraverso la quale vivere l’individualità delle emozioni, la soggettività delle esperienze e la comunità degli stili di vita e delle pratiche relazionali di consumo. Il periodo di vacanza è diventato un momento sempre più investito da sensibilità e culture che alimentano nuove e diverse rappresentazioni e visioni del mondo. Al centro di questa complessa trasformazione vi è quindi un nuovo significato di territorio: ambiente naturale ed ecologico, ma anche luogo antropomorfo, e luogo dell’esperienza segnata dall’incontro, dall’ibridazione, e dal mutamento. In questo senso, ogni luogo assume un nuovo valore, che rimanda alla sua capacità di offrirsi anche come risorsa per vivere esperienze culturali, spesso attraverso il proprio l’ecomuseo.
Gli ecomusei sono processi partecipati di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio culturale locale che servono a promuovere lo sviluppo sociale, ambientale ed economico sostenibile. Soprattutto nei contesti locali marginali, come i territori di montagna, che di fatto sono stati esclusi per anni dalle direttrici dello sviluppo socioeconomico legato al turismo di massa, ma che oggi possono contare su una presenza, variegata ed articolata, di ingenti patrimoni culturali di ordine archeologico, architettonico, ambientale, naturalistico e gastronomico. Valorizzando queste risorse locali oggi anche le aree di montagna più “svantaggiate” possono individuare delle vie culturali allo sviluppo che superano i modelli dell’industrializzazione leggera del territorio, o del turismo massificato, stimolando la nascita di attività imprenditoriali nei diversi settori dell’economia della cultura. Il turismo culturale, ed in particolare la forma dell’ecomuseo, rappresenta la possibilità di un territorio di rifondare le sue basi economiche e di riscoprire e rivalorizzare un patrimonio identitario che la globalizzazione rischia di omologare.
Gli ecomusei italiani hanno vissuto una stagione particolarmente vivace nel primo decennio del duemila, quando si è assistito al proliferare di leggi regionali in materia ma anche all’organizzazione di momenti di dibattito e confronto di carattere nazionale ed europeo. Grande importanza ha avuto il grosso lavoro portato avanti da realtà piemontesi come il Laboratorio ecomusei della Regione e l’Osservatorio ecomusei dell’Ires, che hanno fatto scuola in Italia e grazie ai quali si è sviluppata una rete che conta oggi oltre cento ecomusei pienamente operativi, distribuiti in quasi tutte le regioni.
Oggi sono ben dodici le regioni o province autonome nelle quali esiste una normativa specifica sugli ecomusei: Piemonte (1995), Trentino (2000), Friuli Venezia Giulia (2006), Sardegna (2006), Lombardia (2007), Umbria (2007), Molise (2008), Toscana (2010), Puglia (2011) Veneto (2012), Calabria (2012) e Sicilia (2014).
Ma come si organizza un ecomuseo sul territorio? Prendiamo come esempio quello della Valle del Bitto di Albaredo, piccolo borgo montano inserito nel Parco delle Orobie Valtellinesi. Per visitarlo occorre percorrere un sentiero, lungo circa 3 km e mezzo, che dalla chiesetta della Madonna delle Grazie, poco oltre il paese, porta, in circa un’ora e mezza di cammino, fino all’alpe di Vesenda bassa, appena oltre i confini del comune. L’idea è quella di mostrare alcuni luoghi tipici dell’attività contadina di questa antichissima comunità orobica, presentandoli nella loro cornice naturale, per esaltare l’effetto di immersione totale in una dimensione che oggi facciamo fatica ad immaginare, attraverso un percorso accompagnato da schede-cartello che spiegano ad ogni tappa la storia e tradizione di un determinato punto nodale dell’area. Nel frattempo anche la leggenda del Sassello, un pastore che, passando di lì una notte, diretto alla casera di Pedena, dovette servire a una messa inquietante di anime defunte del Purgatorio, che gli apparvero nella forma di pallidi fantasmi, si inserisce in quest’esperienza territoriale. Il percorso continua poi calpestando l’antica Via Priula, tracciata sul finire del Cinquecento per volere della Repubblica di San Marco, che la sfruttò, nei secoli successivi, per incrementare i suoi commerci con l’Europa settentrionale. Durante il percorso è possibile approfondire la conoscenza delle figure che abitavano questi luoghi un tempo, come quella del boscaiolo, detto “burelèr”.
Ma non sveliamo troppo di questo percorso esperienziale in uno degli scorci più belli della Valle del Bitto e lasciamo ai curiosi la possibilità di scoprirlo da soli, perché l’ecomuseo di Albaredo, così come tanti altri sul territorio italiano, rappresenta un tentativo riuscito di ridare a un luogo e alle persone che lo abitano quel rispetto che la banalizzazione del modello economico del mercato globalizzato ha loro tolto negli ultimi anni.
Chiara Mazzucchi
Info: http://www.vallidelbitto.it/ecomuseo-valle-del-bitto-dei-cas.html
Bella iniziativa!!!!!! Verrò senz’altro a visitare questa valle vicina a noi di cui non conosco la storia e le tradizioni . Brava chiara ciao Anna
Brava Chiara molto interessante.
Complimenti Chiara molto interessante
Bavissima Chiara. Una magnifica iniziativa. Farò il percorso. Grazie.
Brava Chiara , si potrebbe pensare una cosa simile anche per la valle Albano.Complimenti ,soprattutto perché pur essendo giovane hai cosi radicato il senso di appartenenza a qs comunità rurale purtroppo ormai dimenticata.Ciao Valeria
Grazie Chiara, hai aperto una interessante finestra sulla realtà degli ecomusei. Se passi dalla Valle Grana (CN) ci piacerebbe farti conoscere la “Terra del Castelmagno”. A presto. Claudio.