C’è più vita in Appennino. In senso ampio e in senso multiplo. Sembra volutamente un paradosso questa affermazione, ma a me pare che il trascorrere del tempo, soprattutto in inverno e nelle mezze stagioni, sia fatto di ritmi assaporati. Gustati, uno ad uno.
Guardare la natura che respira dona un senso del tempo vissuto, e lento, che non credo abbia eguali là dove la natura è nascosta, osservata fugacemente.
Qui si attendono i mutamenti degli oggetti che ci circondano. A volte i mutamenti avvengono senza che ce ne accorgiamo, ma sono sempre visibili se poniamo attenzione.
Si aspetta che la legna si asciughi, si aspetta la prima gelata per raccogliere i pruni selvatici o si aspetta il tempo buono per visitare le api. C’è un tempo per molte cose, che non può essere un tempo qualsiasi. Si aspetta il sole per sbattere i materassi, o il freddo per disinfettare i panni.

Oggi sono poche le cose che si fanno comandare dal tempo, ma la fortuna di non vivere inscatolati ti fa prendere in considerazione le indicazioni del nostro migliore alleato: il tempo vissuto. Fatto di momenti che ne costituiscono l’essenza, non di minuti. Tempo che dona risultati e trasformazioni alle cose che vogliamo trasformare.
Si attende una mezz’ora in più o in meno del previsto, per trovare meno ghiaccio nelle strade e mettersi in viaggio. Si attende il calore arrivare dalla ghisa della stufa appena accesa.
La natura non detta più tassativamente il nostro ritmo come una volta, ma da quel ritmo, in buona parte, ancora ci facciamo dettare il nostro tempo. E forse è anche questo che cerchiamo, venendo a vivere in Appennino. O volendoci restare.
Si attende il tempo brutto per affrontare le burocrazie noiose, si approfitta del tempo bello per cercare un nuovo sentiero nei boschi o raccogliere frutti.
Quando si esce in piazza per fare una semplice commissione, incontrando volti amici, si abbisogna del tempo, per chiedere notizie, o semplicemente un “come stai?” attendendone una risposta lunga che a volte aggrega quello o quell’altro passante. Si forma una campana di più persone che, a seconda degli impegni di quello o di quell’altro, si allarga o si stringe, o si trasforma con la presenza di altri elementi. Questo grumo momentaneo, come un glomere di api in inverno, fa parte dell’essere luogo-piazza. Vi è un luogo dove le persone si scambiano parole, incontrandosi casualmente. E conoscendosi, o riconoscendosi, si incontrano per chiacchierare. È qui che la piazza ha un suo specifico tempo dell’incontro. Va rispettata anche la voglia di chiacchierare della gente, legittima e spesso lungamente rimandata.

Il giorno qui è difficilmente scandito da micro orari, quanto piuttosto da macro orari. Dalla mattina al pomeriggio, la sera… la notte. Scandito piuttosto dalle distanze, che non si misurano in minuti, ma in chilometri. È un tempo scandito dall’evidente sole che si muove, non come un dettaglio, ma come il padrone di casa, poiché è la principale compagnia tanto attesa, come un membro della famiglia.
Ci sono alcuni luoghi in Appennino dove non vi sono botteghe né negozi. Vi sono piccoli gruppi di case, abitate solo in parte. Vi sono luoghi dove vive qualche coppia di anziani soltanto, e il loro tempo è fortemente scandito dalla ciclicità del sole. I giorni, cadenzati in settimane, subiscono l’importanza del giovedì, giorno di mercato, e della domenica, giorno della messa. Poi c’è il giorno in cui arriva il fruttivendolo con il camioncino. Quello che poi porta anche le chiacchiere da fuori perché gli anziani non hanno fatto entrare Facebook nella quotidianità, così come gli smartphone o i computer, tanto presenti nella vita di chiunque e oggi utili anche per socializzare. E allora il contatto con il mondo sociale spesso si traduce nelle chiacchiere con il fruttivendolo che passa il sabato, o il medico che viene in visita.
Poi c’è il tempo dei nuovi abitanti provenienti dalla città, che talvolta accedono all’universo Appennino in punta di piedi e a occhi sgranati, come per darsi il tempo per assorbire il ritmo di quel mondo e le sue modalità di vita. Dall’osservazione partono e poi si fanno cullare in un desiderio realizzato, felicemente trascinati da uno stile di vita simile a quello che avevano in città, ma molto diverso nella sostanza. Il ritmo della massa, è quello che qui non c’è più e di cui si sono liberati con un sospiro di sollievo.
C’è il ritmo della notte e del giorno, c’è quello del lavoro, quello del riposo. Ma qui non c’è il ritmo della massa, che è il ritmo dell’ansia altrui che ti cade addosso come una fastidiosa pioggia inevitabile e non voluta. Un’esagitazione talvolta inutile e che personalmente interpreto come inutile spreco di energia. Lo troviamo spesso nelle file dei supermercati, in mezzo al traffico, sotto i semafori, dentro agli autobus e anche nei ristoranti, che dovrebbero essere, per paradosso, luogo di ristoro.
A differenza di questi invece, talvolta, alcuni nuovi abitanti, dopo molti mesi, ancora hanno lo sguardo disorientato del non adattamento e non si rendono conto che ciò che li disorienta è proprio quella dissociazione del loro tempo da quello degli altri. Il loro è ancora un tempo ancorato a quello della massa. È ancora scandito dagli impegni, dagli incastri e dalle rincorse spesso inesistenti, ed è ancora il tempo degli altri quello che vivono, non il loro.

E poi gli oggetti. La rincorsa agli oggetti non necessari che riempiono le case e gli scopi della vita dandoci soddisfazioni temporanee. La continua rincorsa al consumo, il passatempo dei centri commerciali. Ci si riempie di oggetti e vestiti all’ultimo stile, che sono di marca e poi sono belli, ma non ci rendiamo conto che il gusto non dovrebbe stare nell’acquisto. Non ci domandiamo neanche da dove vengono e chi li ha creati quegli oggetti e quei vestiti, dove vanno a finire i nostri denari e chi e cosa vanno ad alimentare. Si può provare la stessa sensazione di bellezza rinnovata con un oggetto ritrovato o scartato da qualcun altro. Vivere con meno, e vivere il nostro tempo.
Qui il tempo non è solo nostro, o degli altri. Il tempo è soprattutto il Suo tempo, della Natura che ci forma. Anche in città c’è il tempo della Natura, ma è più difficile da osservare e vivere, anche per coloro che desidererebbero farlo. Per questo dovremmo tornare in Appennino, per stare dentro a quel tempo… che è anche il più logico da seguire. Qui lo spazio c’è, ed è amico del tempo. Ed è tutto da prendere in cura.
Maria Molinari