Francesco Tomatis, “La via della montagna”, Bompiani, Milano 2019, 688 pp, 20 euro

Quasi settecento pagine per spiegare l’inspiegabile: perché guardiamo alla montagna?, che cosa ci attrae senza sosta?, quali insegnamenti riceviamo?, che cosa restituiamo? Lo studioso cuneese Francesco Tomatis si è già dedicato al mistero delle altezze con “Filosofia della montagna”, un libro di oltre dieci anni fa; ora prosegue la riflessione sulla dimensione fisica, metafisica, naturale e spirituale dell’ambiente montano con un saggio ponderoso, che non va considerato uno studio scientifico sulla relazione tra l’uomo e le vette ma piuttosto una scorribanda letteraria e filosofica sugli infiniti legami possibili, attraverso una moltitudine d’incontri che spaziano nel tempo e nei luoghi. L’autore si concentra su un nucleo di questioni: il valore esperienziale del cammino in verticale, l’abitare alpigiano capace di elaborare una cultura del limite, il contatto con la natura e il suo mistero, il tema della montagna in culture specifiche come quella occitana, lo sguardo di chi ci vive, chi ci sale e chi si ferma a contemplare. Il libro affianca pericolosamente autori e interpretazioni di epoche assai distanti, comunque con occhio attento alla contemporaneità, e mixa categorie e approcci apparentemente opposti come alpinismo e non violenza, ambientalismo e devozione, Simone Weil e Giorgio Bocca, Julius Evola e Mauro Corona, creando un insieme “fatto di altrettante tappe di ricerca personale ma anche comunitaria: non è un caso che l’ambiente montano abbia favorito l’emergere di comunità libere, precorritrici di originali forme di convivenza”. Il monumentale pamphlet sottende uno scopo etico e “politico”: «Diventa prezioso, oggi più che mai, confrontarsi con filosofie della montagna elaborate da alpinisti e pensatori, riflettere su modelli di vita alternativi e rivoluzionari improntati alla cura della natura nella sua ciclica rigenerabilità».
Enrico Camanni