Tra i luoghi comuni della speleologia e dell’alpinismo, si è sempre parlato di un “contrario”, ma che questa opposizione si verifichi nel modo di muoversi o nella direzione che esso prende, è un’analisi superficiale che non soddisfa lo speleologo e il suo punto di vista “endogeo”.

Dislivello cruciale
trai due popoli è invece quello dei lumen a disposizione. Gli alpinisti portano occhiali scuri, gli speleologi vedono sempre meno di quanto vorrebbero. I primi si proteggono dalla luce, i secondi s’inventano problematici trabiccoli per vedere dove non mettere i piedi, distinguere l’ombra d’un sasso dal buio da cui non si torna indietro.
Gli speleologi ne hanno inventati parecchi di trabiccoli, ma non ancora uno buono. Chiuso il capitolo delle fiaccole, torce e candele, si giunse all’acetilene, noto gas che, attraverso un processo mai abbastanza padroneggiato, s’infiamma sul casco. La luce è perfetta, ma bombola, tubo e fotoforo, più che aiutanti, sono dei bastardi capaci di: incastrarsi (la bombola), farti inciampare (il tubo e la bombola), bruciare te, tuta, sacco e suole degli scarponi (il fotoforo, quando ti addormenti), intasarsi di pappa schifosa (tutti e tre). Recentemene poi questo sistema viene sostituito da potenti proiettori led che, tra i molti difetti, hanno quello principale d’accecare chi stai guardando e venirne ricambiato. Chi non guarda mai in faccia nessuno è sicuramente avvantaggiato, ma tra tanti speleologi son proprio quelli che meno si gode a frequentare. Per gli altri s’apre il tragico destino d’aver accoppiato le gesta della bruegheliana parabola dei ciechi con le insidie dell’inferno dantesco.

Talvolta però si possono trovare speleologi anche in superficie; se avvistate un gruppo di persone che sta scavando tra le rocce sono certamente loro, e gli alpinisti gli potrebbero assomigliare solo se, invece di scalare gli strapiombi, ci si riunissero sotto a decine, per demolirli. Se invece gli speleologi passeggiano, li potete riconoscere perché, tanto quanto l’alpinista cammina in fila indiana e cerca dalla vetta un panorama mozzafiato, loro vagano sparpagliati e si chinano spesso, come chi ha perduto il portafoglio. Piuttosto sembrano pescatori, che van su e giù nel solito golfo, sempre sperando di far incappare gli occhi in un particolare non capito. Una cosa è certa, gli speleologi si travestono più facilmente da alpinisti, che non il contrario.

In definitiva si potrebbe dire che, per quanto riguarda gli alpinisti, chi ha la luce, che se ne fa del buio? Chi spazia per chilometri perché dovrebbe incastrarsi nei centimetri? Ma questa grande abbondanza di luce, di spazio si rivela quanto mai fragile, se la consideriamo sotto l’aspetto temporale: non solo giorno, notte e stagioni, ma anche tempeste e bel tempo s’inseguono in superficie. Mentre, per quanto riguarda lo speleologo, esso si sveglia all’alba solo per necessità fisiologiche e dopo prontamente torna a dormire. Ha tempo, il suo mondo non cambierà, e attendere lo prepara all’esplorazione. Ma chi ha le ore contate, che se ne fa dell’eternità?
Andrea Gobetti