Per concludere le interviste ai ‘nuovi montanari’ della Val Saviore, mi incammino verso località Fontanìvol, dove Fabrizio Bresciani ha recentemente recuperato alcuni terreni fino agli anni Sessanta coltivati a patate e cereali e che sono stati abbandonati a seguito dell’industrializzazione e del conseguente tramonto della civiltà contadina alpina. Dopo un’accurata pulizia e lo sgombero da piante e rovi, ora Fabrizio vi coltiva numerose varietà di erbe officinali. La vista, in pieno agosto, di quei fazzoletti di terra risparmiati dall’avanzare del bosco e punteggiati dei mille colori dei fiori mi infonde immediato buonumore e la curiosità di sapere di più di questa interessante impresa.
«Sono nato a Collebeato, nell’hinterland di Brescia, nel 1969», racconta Fabrizio. «Prima di decidere di venire a stare in montagna e cambiare vita ero artigiano libero professionista: facevo il mosaicista, per molti anni collaboratore di una nota ditta ravennate leader nel settore. Questo tipo di lavoro mi ha abituato alla solitudine e a trascorrere molto tempo lontano da casa. La scelta di mettermi in proprio fu dettata dal bisogno di stare più vicino ai miei cani, che hanno sempre accompagnato la mia vita. Non nego che l’idea di venire a vivere in montagna sia stata un ulteriore passo verso il mio ma anche il loro benessere: il clima, il silenzio, i profumi, le distese boschive sono sempre state un toccasana sia per me che per i miei amici a quattro zampe. La mia famiglia ha da molti anni una casa in montagna qui a Saviore, dove mi sono trasferito stabilmente nel 2012 e dove ho avviato la mia azienda agricola che ho chiamato ‘Dimensione Natura’. Sì, perché è stata l’immersione nella natura, prima come semplice frequentatore del fine settimana e poi come abitatore stabile, che mi ha portato a vivere situazioni indimenticabili ed è a lei che devo quel senso di libertà e indipendenza che ha ispirato la mia scelta. Il destino ha voluto che conoscessi Claudia, che poi sarebbe diventata la mia compagna, anche lei grande amante degli animali, i cui genitori sono originari proprio di Cevo, in Val Saviore. La comunanza di valori e l’energia che Claudia ha infuso in me hanno ulteriormente favorito il desiderio di vivere qui, nonostante lei possa raggiungermi solo nel fine settimana, una volta libera dal lavoro di assistente sociale a Brescia. Da alcuni anni praticavo ha hobbista l’apicoltura vicino a casa, e da questa attività ha preso le mosse la mia azienda agricola, integrando le api ligustiche con quelle carniche, più adatte al clima alpino, che avevo conosciuto durante un’esperienza di lavoro in Alto Adige. Per un periodo mi sono diviso in estate tra le api e il miele e il lavoro artigiano in inverno, ma tenere i piedi in due scarpe era diventato duro e logorante, sicché ad un certo punto mi son detto: ‘Ok, proviamoci!’. Avevo già passato i quarant’anni e non avevo quindi più la possibilità di accedere ai contributi per i giovani agricoltori, ma la convinzione e la voglia di muovermi in questa direzione hanno reso ineluttabile questo percorso».
L’idea di associare all’apicoltura le piante officinali viene a Fabrizio dopo che, sempre in Alto Adige, scopre realtà aziendali che da anni coltivano in maniera del tutto naturale centinaia di varietà di erbe basando il proprio reddito su questa attività secolare: «Mi stimolava l’idea di creare integratori alimentari a base di miele e piante curative, specialmente per le vie respiratorie. Da questa intuizione ho preso le mosse per documentarmi, visitare aziende e frequentare il corso di floro-vivaista presso l’Istituto Agrario Pastori di Brescia». È nel 2012, dunque, che Fabrizio apre la sua partita IVA agricola e si trasferisce stabilmente a Saviore nella casa di famiglia. Il passo successivo è la ricerca di terreni da acquistare dove poter coltivare le officinali: «Erano anni che sentivo parlare di Fontanìvol, una località ben esposta al sole, da secoli vocata all’agricoltura di piccola scala, abbastanza pianeggiante e ben protetta dai venti, ubicata sotto il paese a qualche centinaio di metri dal centro abitato e facilmente raggiungibile da una mulattiera. La terra non era frammentata tra tanti proprietari ma interamente della Curia, il costo a metro quadro era alla mia portata e i noccioli e i frassini che ormai la ricoprivano dopo decenni di abbandono non così difficili da estirpare con l’aiuto di un escavatore. Dopo le pratiche da espletare per il Parco dell’Adamello in cui l’area è inserita e la recinzione per proteggere le colture dall’aggressione degli ungulati sono state messe a dimora trenta tipi di officinali e aromatiche da piantine biologiche coltivate in semenzaio, sia da associare al miele che per formulare sciroppi, tisane e cosmetici naturali». Tra i prodotti di ‘Dimensione Natura’ troviamo infatti miele di castagno con l’aggiunta di erbe, fiori e frutti dalle proprietà balsamiche, oppure con l’aggiunta di ingredienti energizzanti come il polline fresco, polline essiccato, propoli, numerose erbe confezionate in sacchetti da 200 grammi come calendula, malva, menta, melissa, lavanda, issopo, achillea e santoreggia; tra i cosmetici balsamo per labbra a base di cera d’api, creme viso e corpo, detergenti, shampoo. Il diserbo delle infestanti viene effettuato a mano e l’essiccazione di erbe e fiori in maniera del tutto naturale, senza aria calda forzata, prima di conferirli a un laboratorio abilitato alla trasformazione. Nonostante le aromatiche non richiedano investimenti iniziali più onerosi come, ad esempio, quelli per gli impianti di frutti di bosco, le spese da fronteggiare per avviare questo tipo di attività sono comunque tante: una cavillosa burocrazia per la quale è necessario consultare tecnici agronomi, le tasse, 3/4000 euro fissi all’anno tra contributi INPS e Coldiretti, i costi della trasformazione in laboratori professionali. Non è facile, quindi, vivere di un’attività agricola di montagna e crearsi un reddito. Ammette Fabrizio: «Inizialmente la mia speranza era di poter assumere la mia compagna affinché anche lei potesse lasciare la città per vivere qui con me e collaborare nelle varie mansioni che un’azienda agricola richiede, come quelle contabili e commerciali di cui una sola persona difficilmente riesce ad occuparsi. Ma ciò non è stato possibile e il suo stipendio mensile da dipendente è una certezza a cui ancora oggi non possiamo permetterci di rinunciare. Anche a causa della crisi, vivere di agricoltura di montagna è un’impresa difficile, specialmente in zone marginali dalla limitata vocazione turistica come la Val Saviore: qui i frequentatori sono perlopiù i proprietari di seconde case originari di questi paesi ed emigrati in città negli anni del boom economico. Inoltre non è semplice trovare una clientela che apprezzi questo tipo di produzioni naturali e che sia disposta a spendere di più rispetto ai prodotti industriali venduti nella grande distribuzione. Sono sempre stato abituato a lavorare tanto, ma credo che poter vivere di ciò che si fa sia non solo una necessità materiale ma anche morale».
Per integrare il reddito aziendale, dunque, a seguito di una sperimentazione avviata in collaborazione con l’Università della Montagna di Edolo, dalla scorsa estate Fabrizio ha integrato la coltivazione di erbe e fiori con quella di alcune varietà iscritte nel catalogo europeo di Cannabis sativa legalmente ammesse, dal THC (tra i maggiori principi attivi della pianta) inferiore allo 0,2%. L’infiorescenza della pianta possiede numerose proprietà terapeutiche scientificamente riconosciute: un’opportunità sia per l’agricoltore che per il commerciante, dunque, come dimostrano alcune felici attività imprenditoriali recentemente avviate in Italia. Quando, come sempre al termine delle mie interviste, chiedo come sia andato il rapporto con i locali a seguito del trasferimento qui, Fabrizio fa una pausa, e con piglio ironico dice: «Ci sarebbe da fare uno studio antropologico», sorride. «La gente di qui è molto scettica verso i nuovi arrivati e prima di tributarti eventualmente la loro fiducia ci vuole una vita. Essendo in pochi abitanti e mancando le distrazioni che offrono i centri più grandi, succede che la chiacchiera sia lo sport ‘nazionale’. Sanno tutto di te e quello che fai dalla mattina alla sera. Bisogna stare attenti perché sono molto svegli e intelligenti ed essendo qui la vita più dura hanno una marcia in più rispetto al viziato cittadino. La comunità è molto chiusa e devi avere rispetto di tutti. Se hai a che dire con uno tutti gli altri ti guardano con scetticismo. Tra di loro c’è anche bravissima gente, ma in generale non è facile rapportarvisi. Sono abituati a scendere in città alle quattro e mezza del mattino per fare la giornata in fabbrica, quindi chi sei tu che dalla città vieni qua per fare un’azienda agricola? Vivendo in paese sono tutti i giorni a contatto con queste dinamiche. Il forestiero non è generalmente ben visto perché rompe l’equilibrio di un territorio di cui i locali si sentono padroni ancor prima di nascere. Nel terreno che ho recuperato non ci metteva più piede nessuno da decine di anni, ma dal momento in cui l’ho pulito e utilizzato è diventato improvvisamente importante, utile a far legna, a passare… Per fortuna anche qui ci sono persone eccellenti che apprezzano quello che fai: ho visto ottantenni a cui sono venuti gli occhi lucidi perché ho detto loro che coltivavo a Fontanìvol; son venute giù col bastone a vedere perché in quei campetti hanno passato una vita di sofferenze per portar su quintali di patate a mano e per portar giù il letame con la slitta sulla prima neve di novembre. Riconosco la fatica che per generazioni hanno fatto per recuperare questi terreni: qui era tutto un sasso, che scavavano e rompevano per tirar fuori quel po’ di terreno tratto dal bosco su cui far crescere il cibo di cui sostentarsi. Io ho profondo rispetto per questa fatica e mi sento onorato di poter coltivare là dove generazioni hanno profuso fatica e impegno con grande dignità».
Michela Capra