Enrico Camanni, Di roccia e ghiaccio. Storia dell’alpinismo in 12 gradi, Laterza 2013, 284 pp., 18 €

La storia dell’alpinismo non può in nessun modo essere astratta dalla realtà storica, sociale, e culturale del periodo in cui viene vissuta. Anzi, se l’alpinismo a volte è influenzato dal periodo storico in cui vive, altre volte è lui stesso a influenzarlo. Questo è la prima sensazione che si ricava dalla lettura dell’ultimo libro di Enrico Camanni, Di roccia e di ghiaccio, che ci accompagna attraverso storie e imprese dei protagonisti dell’alpinismo mondiale, in un crescendo lungo i 12 gradi attuali di difficoltà della scalata. Terreno di gioco delle imprese raccontate, naturalmente, le Alpi, quel «laboratorio mondiale della vertigine», come le definisce lo stesso Camanni, in cui l’alpinismo è nato e cresciuto prima di essere esportato su tutte le più grandi e piccole montagne del pianeta.
Il libro parte dal XIV secolo, con la salita di Francesco Petrarca al Monte Ventoso e la scalata del Rocciamelone da parte di Bonifacio d’Asti, per arrivare all’“atto di nascita dell’alpinismo moderno e vero e proprio”, con la salita del Colle del Lys del 1778. Poi le grandi “conquiste” dell’800, prima fra tutte quella del Monviso da parte di Quintino Sella, la successiva fondazione del Club Alpino Italiano, il Cervino salito da Edward Whymper e la torre del Vajolet, dove il tedesco Georg Winkler raggiunge e supera il quarto grado. Con l’inizio del XX secolo sarà la volta del Campanil Basso di Brenta, dove Paul Preuss salì e scese il quinto grado senza corda e senza chiodi, e dopo la Prima guerra mondiale si impone l’ideologia del sesto grado, con la scuola di Monaco e degli italiani: Comici, Cassin, Gervasutti, ecc.
Ci vorranno i “ragazzacci” del Nuovo Mattino per alzare ancora l’asticella dei gradi, un gruppo di capelloni dai vestiti fricchettoni e scarpe di tela che riuscirà a superare il settimo grado sul Precipizio degli Asteroidi in Val di Mello, nel 1977. Più o meno nello stesso periodo i fratelli Messner avevano salito l’ottavo grado sul Sass dla Crusc e pochi anni dopo Maurizio Zanolla, in arte Manolo, sul Sass Maòr raggiunge il decimo. Infine nel 2001 Alexander Huber, dopo anni di tentativi, supera il passaggio chiave sul tetto della Nord della cima Ovest di Lavaredo, giudicato come undicesimo grado inferiore.
La storia continua, e l’alpinismo del ventunesimo secolo vede la scalata su roccia fare un ulteriore passo avanti: in falesia e sugli strapiombi di resina dedicati all’allenamento e alle competizioni indoor scandite dal cronometro, atleti come Chris Sharma, David Lama o Adam Ondra “frantumano i record” alzando ancora una volta la tacca del grado massimo di difficoltà: dodicesimo!
Maurizio Dematteis