I piccoli centri, talvolta non solo quelli montani, sono tenuti ai margini delle decisioni generali, continuamente in ritardo rispetto alle innovazioni. Anche a questo strabismo decisionale, cui si aggiunge una miopia mai risolta, vanno imputate le carenze che li riguardano e le devastanti conseguenze che ne derivano. Da queste situazioni non può che derivare una narrazione che è purtroppo diventata opinione condivisa: i servizi assenti o insufficienti e la lontananza dagli stessi, l’insufficienza delle risorse economiche, la rarefazione dei posti di lavoro e via dicendo. Da amministratore pubblico di lungo corso ho sentito e a volte, sentendone il dovere incoraggiato, la cantilena di questo apparentemente immutabile rosario.

Se provassimo a chiedere a un abitante di Balme e probabilmente di qualsiasi altro luogo periferico, che cosa gli manchi in particolare o quali azioni si possano responsabilmente intraprendere per risolvere queste insufficienze, probabilmente avremmo riscontri indefiniti, vaghi o un’alzata di spalle. Le risposte non sono ovviamente facili e lo è ancor meno avanzare delle soluzioni.

Risiedere in posti lontani dai grandi agglomerati urbani in realtà, e non è poca cosa, comporta dover raggiungere questi ultimi attraverso tempi e vie di percorrenza perlopiù inadeguati. Spostamenti cui il trasporto pubblico locale supplisce solo parzialmente (in particolare per raggiungere le scuole) e che diversamente avviene d’abitudine con mezzi privati. Che lo si faccia per quotidiane giornate di lavoro, per raggiungere i poli scolastici o sanitari, per sporadiche puntate al cinema o ai centri commerciali, sono certamente questi punti a costituire i maggiori disagi. Difficoltà che si tramutano in un considerevole dispendio economico e di tempo che mai saranno riconosciuti, con agevolazioni o detassazioni, da alcuna istituzione.

La tecnologia ha spiccato il volo nel corso degli ultimi decenni e grazie ad essa, la pandemia lo ha insegnato, ormai molte attività, scolastiche, lavorative, di svago, permettono talora di affrontare con soluzioni avanzate le distanze fisiche.

A mancare sono certamente le possibilità di aggregazione, fattore non secondario specialmente per la popolazione giovanile. La frequentazione scolastica nelle sue varie fasi e la più marcata esigenza di socialità, di condivisione di esperienze, di conoscenza, rendono molto più complesso il soddisfacimento di questi leciti e sacrosanti bisogni. L’abitare lontano non facilita risposte o soluzioni. A tutto questo si aggiunga la cronica carenza di seri e continuativi posti di lavoro. Solo l’eroico attaccamento ai luoghi d’origine fa sì che tanti partano al mattino presto e rientrino la sera dopo aver trascorso la propria giornata di lavoro in pianura. Facile constatare come la principale attività delle valli di Lanzo sia il pendolarismo quotidiano, dimostrabile con le lunghe code di auto incolonnate ai semafori a inizio e fine giornata.

Se invece si considera il nucleo famigliare come la base della propria compiutezza umana e della propria accettabile felicità, teoricamente questa potrebbe essere indipendente dal luogo nel quale essa si compie. Così come la fugace uscita giornaliera di un anziano cittadino, che non sarà molto diversa da quella di un equivalente valligiano. La giornata trascorsa da molti tra i muri di casa non cambierà granché dal luogo fisico nel quale essa si compie.

Se è difficile rispondere alla prima domanda, lo è altrettanto per la seconda: cos’ha di più chi vive in montagna? Il riscontro che ognuno potrebbe attendersi è: il silenzio, la tranquillità, il contatto con la natura. Ma queste sono perlopiù convinzioni da cittadino stressato… Difficilmente ad un uomo o una donna che vivono in montagna verrebbero in mente, se non come ripetizione di slogan che soddisfino le aspettative dell’interlocutore. Per lui, o lei, sono affermazioni e sensazioni scontate, forse per questo meno percepibili o probabilmente neanche del tutto condivise. Nei luoghi vocati al turismo la presenza o meno dei visitatori, a volte chiassosi e indiscreti, incide anche, molto e in positivo, sulla socialità, sull’autorappresentazione e sul mantenimento dei servizi e delle attività, giovando indubbiamente alla qualità e sussistenza di chi li abita costantemente.

Per i montanari, autoctoni o meno, stabilmente residenti, il valore aggiunto è forse rappresentato dall’atavico bisogno di adesione a una comunità. Dal costituire, ognuno per sé, un responsabile punto di appartenenza ad essa, una indispensabile pietra da muro di quel luogo, di dare così un senso alla propria esistenza e di conseguenza a quella altrui, attraverso una presenza, una partecipazione, un impegno prolungato a favore della collettività. Che non si esplica soltanto nella conduzione di un’attività economicamente vantaggiosa ma che trova significato nel senso di responsabilità che si trasmette e si applica, con effetti probabilmente più riconoscibili in un paese che in una città. Esercitare attivamente un ruolo, amministrativo, associativo, privato che vada a vantaggio anche degli altri, giustifica e arricchisce l’esistenza. La propria e le altre, anche se poche, che gli stanno intorno.

Purtroppo l’indolenza associata alla pandemica diffusione dei fenomeni da tastiera ha raggiunto anche le lande più estreme, dove l’accusa supera ormai di gran lunga l’azione.

Eppure nel percorso della vita di ognuno, considerarsi e vivere da donne e da uomini integri, avvalora l’appartenenza a un mondo connesso non soltanto digitalmente ma anche, soprattutto, umanamente. Un valore supremo e universale, forse meglio raggiungibile e appagante in una piccola realtà che non nelle migliori e più attrezzate metropoli sparse nel mondo.

Gianni Castagneri