Da quando è stato reintrodotto l’orso in Trentino, e soprattutto dopo la morte di Daniza, si sono susseguite moltissime prese di posizione nella società locale. Mentre la politica e gli enti decisionali sono apparsi piuttosto cauti. Che posizione occupa l’orso oggi nella nostra società?
È stata la società civile che si è spesa in una miriade di prese di posizione diversissime e spesso tra loro contrastanti. Intellettuali, membri di associazioni, personaggi pubblici, facebookisti e twitteristi, sono molti quelli che hanno sentito il bisogno di dire la loro e di far sentire agli altri, in modo pubblico, la propria opinione.
Decine e decine di cittadini hanno intasato con lettere al direttore le pagine dei quotidiani locali. Si sono visti presidi pro-orso davanti al palazzo della Regione, occupazioni pacifiche di edifici pubblici e manifestazioni giunte fino a Pinzolo.
Allevatori e pastori si sono mossi in direzione opposta, dovendo aggiungere la questione orso a una situazione già difficile che li vede piuttosto in affanno sia dal punto di vista economico che “vocazionale”.
Sul versante ambientalista si sono riproposte le differenze già colte da Alexander Langer tra “verdi di testa” e “verdi di pancia”. I primi, intellettuali e d’estrazione urbana, sono più marcatamente pro-orso; i secondi, che spesso provengono dai paesi e che conoscono bene il territorio e le sue complessità, sono più cauti e pragmatici.
Il turista ha tenuto posizioni diverse: dallo scarso interesse a un’irrazionale paura fino alle minacce di boicottare il Trentino preferendo altre mete per le proprie vacanze.
La complessità del tema, unita al fatto che la presenza del plantigrado sia il frutto di una recente reintroduzione, fanno sì che sia difficile trovare il bandolo della matassa.
Questo ha lasciato spazio a posizioni molto diverse, talvolta estreme, ma tutte a loro modo legittime, caratterizzate però da una scarsa propensione al confronto e da un alto grado di conflittualità con le altre. Se è vero che i due schieramenti, favorevoli e contrari, sono diversi in quanto opposti, è anche vero che sono del tutto simili per la varietà, la ricchezza e la carica simbolica che ne caratterizza i contenuti. Da un lato una natura idealizzata, incontaminata, che va difesa, anche con azioni antagoniste, dagli abusi contro animali e territorio e dagli eccessi di un capitalismo in antitesi con l’ambiente. Dall’altro lato una visione idealizzata in senso contrario, dove prevale la paura del selvatico, l’indiscutibilità del progresso, la tutela di turismo e allevamento come unico modo per garantire una certa economia agli abitanti delle montagne.
La civiltà romana, urbano-centrica, non considerò mai l’orso come un animale degno di particolare rispetto, tanto da destinare centinaia e centinaia di esemplari ad una morte cruenta negli spettacoli del Colosseo. Crollato l’Impero, l’Europa visse uno dei cali demografici più importanti di tutta la sua storia. Le campagne, le strade, perfino parti consistenti della Pianura Padana furono ricoperte di boschi fitti e scuri, regno di quel “selvatico” che tanto inorridiva gli antichi Romani.
Il bosco divenne una componente economica di prima importanza, dove si cacciava, si prelevava il legname e si raccoglievano erbe e frutti selvatici. L’incontro con l’orso era quindi inevitabile.
Ammansito dai santi (pensiamo ad esempio a San Romedio), l’orso condivideva grotte e giacigli con gli eremiti e veniva considerato, come ancor’oggi raccontano le fiabe europee, il re del bosco.
Passato l’alto Medioevo, la civiltà urbana risorse, ripristinando vecchie vie di comunicazione e realizzando nuovi centri abitati. Aumento demografico e messa a coltura di nuove terre – i ronchi, di cui la toponomastica è ancor’oggi ben fornita – equivalsero a vaste opere di disboscamento. L’orso divenne quindi un ostacolo.
Pur mantenendo ancora un certo status (quantomeno nell’arte venatoria nobiliare, che, negli affreschi di Torre Aquila del Buonconsiglio, ritrae proprio la caccia all’orso), era destinato a un progressivo ed inesorabile declino, che sarebbe durato secoli. Espulso dall’araldica ad opera del leone e dell’aquila, venne cacciato in modo sempre più massiccio, fino a diventare, nel corso degli ultimi secoli, un fenomeno da baraccone, quando, con catene e museruola, veniva fatto ballare nelle fiere e nei circhi per la gioia dei bambini.
Il secondo Novecento, con la crisi delle posizioni antropocentriche, ha lasciato spazio alla nascita dell’ambientalismo, che, come vediamo in questi mesi, ha ricollocato l’orso sul trono da cui era stato spodestato. L’urbanizzazione dei fondovalle, la costruzione di ponti, gallerie ecc., hanno infine rimescolato le carte e il limite tra campagna e città è forse oggi un po’ meno definito che in passato.
Si può abitare a Cles e lavorare a Trento. Oppure il contrario.
Più ricchi, ma forse un po’ smarriti, in affannosa ricerca di un’identità in bilico tra le “piccole patrie” e la globalizzazione, gli abitanti delle Alpi faticano oggi a descriversi, a trovare una collocazione cosciente e definitiva per se stessi e, in ultima analisi, per lo stesso orso.
Luca Pisoni