Comunità, identità, memoria, territorio. Sono concetti che, per l’uso quotidiano che ne facciamo, sembrano facili da comprendere e politicamente inoffensivi. In realtà, sono parole chiave della contemporaneità piene di rischi, sulle quali è necessario riflettere, poiché possono essere utilizzate per ancorarci a un passato immaginato invece di aiutarci a guardare al futuro con maggiore consapevolezza. Proprio in un momento storico in cui riconosciamo nella mobilità un fattore caratterizzante della condizione umana, in cui il legame tra gruppi umani e specifici territori si fa più labile, si moltiplicano le strategie messe in atto da individui e gruppi per sentirsi parte di un insieme, per ricomporre genealogie e radicarsi in territori dai contorni spesso immaginati. Una delle caratteristiche del mondo contemporaneo, ci hanno insegnato i sociologi, è l’accelerazione del tempo, delle possibilità di movimento, il rincorrersi forsennato di notizie, informazioni, immagini. Un’altra riguarda lo spazio. L’eccesso di spazio – come direbbe Marc Augé – mette a disposizione degli uomini (anche se non a tutti con gli stessi diritti) l’intero globo, che però sembra essersi ristretto, chiudendoci nel sistema-pianeta-terra.
La “sovrabbondanza spaziale” di cui disponiamo, unita alla sovrabbondanza di immagini e informazioni, ci dà un senso di sazietà che sfiora il disgusto, la repulsione, la ribellione. Ma la fuga dallo spazio infinito ci riporta, dopo un lungo vagare, alla ricerca di senso, al luogo.
Non è una questione di radici, ma una questione di piedi. L’uomo cammina, percorre, attraversa. Ogni tanto si ferma, ma poi riparte e ricomincia a cercare. Non è una pianta, l’uomo, ma un essere curioso che cammina sul mondo e quando è stanco si ferma. Ci sono luoghi migliori in cui fermarsi a riposare, luoghi sicuri, accoglienti, magari appartati che rendono la sosta un momento essenziale del cammino. Nella geometria dello spazio umanizzato, tuttavia, non ci sono soltanto punti, ma anche linee e, soprattutto, intersezioni. Gli itinerari e i crocevia mettono in connessione i punti in un reticolo complesso che deve essere svelato e compreso. In questo, chi ha deciso di restare più a lungo in un luogo può essere di aiuto a chi transita: svelare i confini invisibili e fluidi disegnati nel tempo sullo spazio, i legami tra le persone e tra le persone e i luoghi. L’accoglienza è condivisione, anche di conoscenze e saperi, di mappe e di bussole. Accogliere in un luogo significa collegare quel luogo a tanti altri per ricomporre una visione d’insieme che non lasci spaesati coloro che sono appena arrivati o che stanno transitando. Tutti sono accomunati dalla ricerca di senso, dal bisogno di comunità, dal desiderio di bellezza, dalla necessità di fermarsi.
Valentina Porcellana